Sanremo 2011 – Prima Serata

Nonsolomusica

L’Italia, mai come in questi ultimi mesi, si rivela essere un paese di vizi privati e pubbliche virtù. E come la ligia casalinga nasconde la polvere sotto il tappeto, l’impiegata modello a tarda sera ripone il tailleur nell’armadio e diventa regina dei nightclub, come anche il più insospettabile parlamentare ha in fondo alla sua ventiquattrore qualcosa di cui vergognarsi, così ogni italiano nasconde un inconfessabile segreto. Guarda Sanremo. Salvo, ovviamente, negarlo la mattina dopo. La sera stessa. Cercando di impedirselo incatenandosi al frigorifero, come Ulisse legato all’albero della nave per sfuggire al canto delle sirene. Getta il telecomando nell’acquario. Il decoder in un pozzo artesiano. Ma al richiamo del festival non si sfugge. L’importante è, poi, negare di averlo visto, anche a costo di smentire i dati auditel che raccontano un’altra realtà. Anche noi, quest’anno, decidiamo di affrontare la sessantunesima edizione del festival della canzone italiana. Ma non ditelo a nessuno.

La novità, come spesso accade, non viene dalla musica, ma dal contorno che spesso ruba la scena agli artisti in gara. A Sanremo si parla del presidente del consiglio, dei suoi processi dopo la fresca notizia del giudizio immediato. Lo si sbeffeggia con la divertente rivisitazione di un brano sanremese di Morandi, In amore, che per l’occasione diventa Ti sputtanerò e simula un duetto tra Fini e Berlusconi. Sarà il vero tormentone della settimana. Come un fiume in piena, si menziona anche il conflitto di interessi, affrontando senza paura i fischi che si levano da parte del pubblico. La novità è che, per la prima volta, non sono comici esterni a portare il dibattito politico in primo piano, ma quelli che potremmo definire co-conduttori, le iene Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu. A tenere in mano la serata sono loro, più del cauto e un po’ ingessato Morandi, più delle spaurite Belén Rodriguez e Elisabetta Canalis, che si limitano a ripetere in stato di trance che è un’esperienzastraordinaria, pubblicofantastico, emozionetroppofforte. Più della Clerici che apre il festival con in braccio la piccolissima figlia, tra l’annoiato e lo sgomento, forse come noi inquietata dallo sbarluginio di stelle cadenti che avvolge lei e la madre che racconta una favola con l’enfasi di una matrioska parlante. Ma si sa, al centro dovrebbe stare la musica, ed in effetti la conduzione Morandi riesce in parte ad arginare l’onda anomala di inutili contorni ed evitabili comparsate che spesso costituiscono più della metà della serata. E allora, parliamo di musica.

Come al solito, tra i big se ne sente poca. La sensazione è sempre quella che Sanremo arrivi sui nostri televisori in differita di cinquant’anni; dopo aver controllato ripetutamente l’antenna, abbiamo dovuto rassegnarci alla triste idea che il festival era in diretta, le canzoni un po’ meno. Gli artisti sono divisi fra estenuanti melodie amorose che forse sono ancora in voga in qualche remoto villaggio della Papuasia e stili di canto semi-parlati tipici della tradizione cantautoriale, che cercano di proporsi come moderni ma a volte sembrano mascherare una carenza di idee musicali innovative. Nella prima categoria, Luca Barbarossa e la spagnola Raquel del Rosario vincono la palma d’oro del duetto-attacco-glicemico con la loro ballata Fino in fondo (a dove, direte voi..naturalmente, al cuore). Si avvicinano al primo posto anche i Modà con Emma Marrone, cantando di “abbracci che scaldano nella magia delle stelle”, salvati da un arrangiamento e uno stile moderno ma pur sempre fortemente melodico, che forse avrà un buon successo grazie alla fama degli artisti. Terzo posto ad Anna Tatangelo, che si dà ad un look lesbo-punk-michaeljackson cercando di nascondere con un arrangiamento quasi quasi quasi quasi rock la solita banalità dei testi del compagno Gigi D’Alessio.

Vincerebbe quasi il premio “artista fashion”, se non fosse battuta, all’ultimo momento, da due dive che la sanno ben più lunga della donna poco vissuta: Anna Oxa e Patty Pravo. La prima, ucciso uno yeti, tintolo di blu e indossatolo al posto di un paio di banali pantaloni, giunchi che pendono dalla fronte quasi fossero capelli, canzone interessante ma di difficile ascolto, non apprezzata dalla giuria. La seconda, dal canto suo, rivendica l’attualità di Nonna Papera e del camicione puritano da caccia alle streghe, acconciatura a fungo atomico e sguardo post-elettroshock. Nonostante questo, una gran signora e una buona canzone, perfettamente nelle sue corde, Il vento e le rose. Peccato per quel biascichio che la contraddistingue e che ci costringe a ricorrere al 777 di tanto in tanto.

Si distinguono invece Roberto Vecchioni con Chiamami ancora amore, non una canzone sentimentale sebbene il tiolo lo lasciasse minacciosamente presagire, ma un ottimo brano di impegno sull’onda della miglior tradizione cantautoriale, eseguito con vera forza e passione. Senza urla, senza giunchi in testa, senza sfarfallii di cuori. Solo un paio di occhiali alla Harry Potter ed un’ottima canzone. Serve altro? Ma quello che conquista la serata è Davide Van De Sfroos, cantautore comasco che canta in dialetto laghée un brano travolgente nella sua simpatia e musicalità folk, Yanez. Scalza il predominio della musica napoletana e apre la strada ad un federalismo musicale che giova ad un festival che, nella foga di essere sempre più nazionalpopolare, si è scordato negli anni di essere veramente italiano. Interessante anche Tre Colori di Tricarico, altro tentativo di visitare il tema di un’Italia unita nelle sue diversità, ottimo testo penalizzato dall’interpretazione un po’ agonizzante dell’artista, in cui la ricercatezza stilistica spesso scivola in incomprensibili borbottii. 777, please.

Due i brani che causano un effetto polaroid, riuscendo a fermare il tempo alla prima edizione di Sanremo (click) e cancellando 60 anni di storia della musica, dell’Italia, del pianeta terra (click). Forse non esiste nessun progresso, diranno i nichilisti. Forse hanno ragione, vedendo Max Pezzali che è sempre uguale a Max Pezzali quindici anni fa e canta sempre la canzone di Max Pezzali di quindici anni fa. Click. Al Bano che mantiene il solito stile da romanza ma si dà al sociale, cantando di una giovane che cade nella prostituzione e muore, ma almeno è “libera come una rondine sopra le nuvole della sua ingenuità”. Il tempo corre incessante all’indietro, questo non può essere il 2011. Da dietro spunta un dinosauro, si estingue dopo un acuto del cantante pugliese. Poi il neozoico, Adamo, Eva, il giardino dell’Eden. Il Big Bang. Cosa c’era prima del Big Bang? Forse Al Bano. Click.

Molti i brani che cadono in un limbo indefinito, senza conquistare né indignare ad un primo ascolto: Nathalie (vincitrice di X Factor) e la sua Vivo sospesa, Giusy Ferreri che per metà della sua Il mare immenso recita il testo e per l’altra metà lo proclama come una dichiarazione di guerra suonata da mille trombe impazzite, Luca Madonia e Franco Battiato la cui L’alieno piace ma non smuove nulla di più di un tiepido apprezzamento (ma aspettiamo un secondo ascolto). I La Crus, che presentano un brano che sa di soffitta della nonna, non a loro agio sul palco forse anche per l’inquietante presenza di Susanna Rigacci, soprano nota per aver cantato le colonne sonore di Ennio Morricone, che ondeggia e gorgheggia e solfeggia alle loro spalle con aria spettrale.

Alla fine, Morandi annuncia il verdetto della giuria demoscopica, con il capello sconvolto, l’aria trafelata e lo sguardo allucinato di chi, più che aver condotto il festival, ha appena concluso una gara di decathlon. Fuori Anna Tatangelo e Anna Oxa, le signore scalzate dall’insindacabile scelta della giuria. E per insindacabile, vuol dire sindacabile solo dal televoto, che tornerà come uno schiacciasassi a consegnare lo strapotere nelle mani del pubblico televisivo, anche se questo spesso confonde il jazz per un insulto barese e l’hip hop per una crisi di singhiozzo. Il risultato, quindi, è ancora tutto da vedere. Chi resterà su questo canale, con una buona dose di stoica sopportazione, conoscerà l’ardua sentenza senza dover attendere i posteri. Ma mi raccomando, voi non avete visto Sanremo. Neanche noi. Cancellate l’articolo dalla cronologia. Che non si sparga la voce.