“Serata Roberto Bolle”

Una sera con Bolle & Friends

Lui è alto, bello, nobilissimo. Esprime calma e magnificenza.
Il portamento è regale, il gesto è nitido e leggero. Eppure è
solido, potente: emana il senso della forza eroica.

Bolle è un vero principe, come baciato da una predestinazione. Nato
trentatre anni fa a Casale Monferrato, e consapevole fin da
bambino della propria vocazione, andò presto a studiare a
Milano, alla scuola della Scala, «sentendo molto, agli inizi, la
mancanza della mia famiglia, ma anche conscio del privilegio
di studiare in una scuola di ballo tra le migliori al mondo».
Da ragazzino il suo mito era Nureyev, e ancora oggi non
smette di considerarlo un punto di riferimento artistico.
Lo conobbe quando aveva quindici anni, e con la scuola
scaligera era impegnato nelle prove dello Schiaccianoci:
«Stavo ripassando la mia parte e a un tratto lo vedo di
fronte a me, mentre mi guarda. Sudavo freddo, paralizzato
dall’emozione. Di lì a poco Nureyev mi avrebbe offerto il ruolo
di Tadzio in Morte a Venezia di Flemming Flindt, che stava
per andare in scena a Verona».
Nel 1996, solo due anni dopo essere entrato nella
compagnia della Scala, al termine di una rappresentazione
di Romeo e Giulietta, Roberto viene “promosso sul campo”
da Elisabetta Terabust, che all’epoca dirige il ballo alla
Scala, e che gli conferisce il ruolo di primo ballerino. Scatta
da allora un’irresistibile ascesa internazionale, costellata da
esiti clamorosi come un Lago dei cignidi Londra, quando Bolle ha appena ventuno anni: «Ero nel
secondo cast, ma il protagonista s’infortunò e fui chiamato a
sostituirlo alla prima. Ero terrorizzato, ma la mia partner,
Altynai Asylmuratova, prima ballerina del Kirov, mi offrì il
suo aiuto, e fu straordinaria. Ancora non so come ce la feci,
eppure fu un grande successo».

Emerge in tutti i ruoli protagonistici dei titoli di repertorio,
dalla Bella addormentata a Don Chisciotte, da La Bayadère
a Giselle e alla Sylphide. Né mancano le incursioni nella
teatralità moderna di balletti come l’Onegin di Cranko e
Notre Dame de Paris di Petit, o negli splendori neoclassici
di Agon e di Apollon Musagète. Ma nonostante le varietà
delle esperienze, considera i ruoli del repertorio tradizionale
come i più ardui e preziosi: «Oggi sono rari i danzatori in
grado di delinearli nel modo giusto».
È un interprete speciale: cangiante, volatile, sinuoso.
Eccelso nei personaggi aristocratici che esigono le fiabe così
come negli spigolosi e acrobatici modernismi di Forsythe
e di Kylián, il suo coreografo contemporaneo prediletto.
Si fa applaudire come ospite in compagnie come l’English
National Ballet e soprattutto come il Royal Ballet di Londra,
che oggi è uno dei suoi due ensemble di riferimento,
insieme a quello della Scala. Al Royal Ballet ha danzato in
ben cinque produzioni (contro i tre titoli interpretati alla
Scala: Manon, La Bayadère e Le Jeune homme et la Mort),
conquistando un affiatamento sempre più strepitoso con
Darcey Bussell, accanto alla quale ha ballato tra l’altro, alla
fine del 2005, il revival di un sublime titolo di Frederick
Ashton, Sylvia.

Ma al di là di tutto questo, Bolle è un giovane uomo
magico, che non smette di stupire. Con la sua bellezza
gentile e innocente, senza arroganza, come inconsapevole
di se stessa, coinvolge e affascina stuoli di ammiratrici, che
lo attendono riunite in vere e proprie folle fuori dai teatri. È
un fenomeno‑star, uno dei pochi divi della danza odierna.
Eppure è umile, modesto, generoso, dedito al lavoro come
a una missione, e molto attivo come “Ambasciatore di
buona volontà per l’Unicef ”: « Ho già fatto varie campagne
del genere: sono esperienze sul campo a cui sono molto grato,
capaci di renderci davvero coscienti della tragica miseria di
tanti bambini nel mondo».

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