Shangri-La è l’Eldorado del XX secolo, un’illusione nata in una terra affascinante ed estrema, destinata a non concretizzarsi mai. Come Eldorado aveva affascinato i conquistadores nel Cinquecento, con le sue promesse di ricchezze al di fuori di ogni immaginazione, spingendoli a ricerche disperate ed infruttuose nel cuore del Sudamerica, così è per Shangri-La nel Novecento, con la sua speranza di pace interiore.
Lawrence Osborne, giornalista del “New Yorker” e di “Vogue”, racconta in questo breve testo la sua ricerca, iniziata con la lettura del libro che ha dato origine al mito: Orizzonte perduto di James Hilton, del 1933. Era evidente che quella città non esisteva che nella mente dell’autore, una finzione letteraria diretta a comunicare qualcosa di più alto. Tuttavia, il successo dell’opera fu tale da portare a ritenere che Shangri-La esistesse veramente. Il tutto era dovuto alla descrizione di questo non-luogo protetto dall’Himalaia, organizzato come comunità lama, in cui non erano ammessi l’odio, l’ira, l’adulterio e altre debolezze tipicamente umane. E questo non per legge, ma per spontanea adesione e convinzione dei cittadini. Shangri-La era dunque sinonimo di pace, con se stessi e con gli altri e in una società come quella degli inizi del Novecento, capitalista, industrializzata, spaventata dall’incubo della guerra, riuscì ad imporsi come luogo esistente, da cercare ad ogni costo.
A distanza di settant’anni dalla pubblicazione di Orizzonte perduto, Osborne si reca in Cina per vedere cos’è rimasto di quel mito e il senso di delusione è alquanto evidente: molte città, per l’evidente richiamo turistico che ne deriva, affermano di essere la vera Shangri-La; nel 2001 il governo cinese è ufficialmente intervenuto nella diatriba per attribuire tale titolo a Zhongdian, nella regione di Yunnan, confinante con il Tibet; questa in realtà è una località fatta apposta per abbindolare i turisti occidentali. Così, il viaggio di Osborne diventa il presupposto per una riflessione (mai evidente, comunque sottintesa) sulla globalizzazione, sul modo in cui la logica della domanda e dell’offerta possa imporsi anche nei confronti di un qualcosa che non esiste, come se il governo inglese pretendesse di identificare l’isola dell’Utopia di Tommaso Moro, o quello italiano la Città del Sole di Tommaso Campanella. Accompagnato da una strana guida di nome La e da due interpreti, Shiny e Mary, il giornalista americano ha modo di confrontarsi con diversi aspetti della Cina dei giorni nostri: monaci tibetani e alberghi ultramoderni, presunti stregoni eredi di una conoscenza ancestrale e un’economia che avanza a livelli impressionanti. La conclusione (probabilmente scontata) è che il viaggio ha senso in quanto tale e non per la sua meta e che (ma questo forse Osborne lo sapeva fin dall’inizio) Shangri-La non se ne sta racchiusa tra le nevi perenni dell’Himalaia, ma è dentro ognuno di noi, basta saperla cercare.
Lawrence Osborne, Shangri-La, Adelphi, pp. 52, 5,50 €.