Forma è il limite che consente di poter definire un qualunque oggetto, idea, concetto, sensazione. Deformare è alterare la forma, darle un significato diverso dal reale.
Il tempo consuma le immagini.
Un video, in loop, all’inizio dello spettacolo ci riporta al 1978, anno in cui è stato creato per la Biennale di Venezia. E lo spettatore è trascinato in un susseguirsi di situazioni che si fanno via via sempre più definite e lo portano ad immedesimarsi con i performer.
Dal buio della scena emerge una struttura aerea, bianca, sottile, che si tende e si deforma governata dal movimento del corpo degli attori. I quattro performer non si incontreno mai sulla scena, ognuno sembra governato da una forza autonoma e solitaria, scandita da successioni di passi e sequenze. Anche i corpi, in tensione nello spazio e nel tempo si trasformano, e seguendo il ritmo della voce, o dei suoni, assumono una fisionomia differente.
Tuttavia c’è un punto, al centro del palcoscenico, da cui tutto nasce e in cui tutto si ferma. Da cui si può far sentire qualcosa: delle voci, dei suoni distorti e amplificati, con velocità e modalità differenti. Un punto in cui anche i quattro attori si soffermano per poi ripartire nel loro “viaggiare” sul palco.
In questa nuova produzione del Tam, presentata giovedì 18 giugno alll’interno della rassegna padovana Teatri delle Mura, il tempo è uno dei protagonisti della rappresentazione, se così possiamo definirla. Il tempo presente è posto al centro dell’esecuzione, quando vediamo l’autore dello spettacolo presentarsi sulla scena e mostrarsi, per poi uscire da essa. Ma al qui e ora fa seguito un altro tempo in cui un tracciato di luce contorna i corpi e li lascia senza sostanza, senza carne, senza spessore. Grazie alla pittura digitale si creano progressivamente delle figure inanimate ricalcate sui corpi degli attori, che sul finale scompaiono. Puro disegno luminoso a due dimensioni: il segno, governato dalla mano dell’artista toglie materia e vita , trasforma i corpi in immagine, li fa uscire di scena.
Echi di Mauricio Kagel (fonte d’ispirazione per molti lavori del Tam) e Samuel Beckett ricorrono in uno spettacolo che cattura l’attenzione per la precisa armonia di ogni piccolo particolare, perfettamente incastonato nel tutto per creare una sorta di spaesamento in chi assite alla rappresentazione.
Il tempo in scena, protagonista e modulatore delle azioni, è scandito da precise sequenze e procede da un prima a un poi, stratificandosi in tre livelli simultanei e sviluppandosi con un prima e un dopo. Osservando attentamente le azioni dei performer si noterà che ogni singolo movimento è regolato da una precisa griglia temporale, per cui potrebbe esserci una relazione tra qualcosa che è avvenuto al quinto minuto con qualcosa che è avvenuto invece al secondo minuto, e così via. Lo scheletro dello spettacolo si basa appunto su questa fitta rete di rimandi e sovrapposizioni che avanzano, arretrano, si incrociano, si sovrappongono.
La scena, in questo caso può essere paragonata alla vita, in cui c’è un prima e un dopo: la vita stessa è formata da una successione di attimi che, procedendo da un punto verso il successivo, creano la nostra sequenza temporale, la nostra vita.
L’opera, inconclusa, (si tratta infatti di uno studio) si fa guardare e sarà compito dell’osservatore completarla e definirla, a seconda delle aspettative.
DeFORMA_09
Tam TeatroMusica
STUDIO
Ideazione e direzione: Michele Sambin
Performer musicisti: Pierangela Allegro, Alessandro Martinello,
Alen Sinkauz, Nenad Sinkauz
Suoni: Kole Laca
Pittura digitale: Michele Sambin
Il videoloop “Il tempo consuma” (1978) è di Michele Sambin
Produzione Tam Teatromusica – Dipartimento di storia delle arti visive e della musica Padova – Comune di
Padova – Audio Art Festival Cracovia
www.tamteatromusica.it
www.teatridellemura.it