Torino 32.
Felix & Meira è l’opera terza del regista canadese Maxime Giroux, per lui un ritorno al Torino Film Festival dove aveva presentato, nel 2008, il suo film d’esordio Demain.
La storia è ambientata nel Canada francese e diventa l’incontro tra due mondi apparentemente lontanissimi come la società francofona del Quebec e la comunità degli ebrei ortodossi di Montreal.
Felix è un uomo senza grandi ambizioni a cui sta morendo il ricco padre, Meira è una ragazza sposata e con un figlio e fa parte della comunità chassidica, un movimento religioso ebraico a carattere mistico. Meira è rispettosa delle regole come le altre donne del gruppo: gonna lunga nera, parrucca, niente trucco, però è irrequieta e di nascosto fa cose proibite come ascoltare la musica e sognare una vita con meno regole. E quando il marito la sgrida lei si butta a terra fingendosi morta per dimostrare la sua vulnerabilità, ma anche la sua sommessa ribellione.
Ecco allora che l’incontro casuale tra i due assume una valenza particolare che se per Felix diventa un’opportunità amorosa per riempire la sua solitudine, per Meira assume un’occasione per fuggire da un’esistenza chiusa da regole che non condivide fino in fondo e dalle quali desidera un minimo di elasticità per sentire un pizzico di libertà.
Eppure non è un rapporto facile, lei parla yiddish e lui francese ed insieme un inglese semplice ed elementare. Il marito spedisce Meira nella comunità ortodossa di New York e lei si fa raggiungere da Felix. All’inizio la sua trasgressione è quella di indossare i jeans e di guardare un uomo negli occhi, poi prevale l’inizio di un sentimento più forte tra i due nella costruzione di una coppia che apparentemente sembra davvero inconciliabile.
Un film delicato, a tratti prezioso, che il regista canadese disegna con grande equilibrio giocando sui contrasti dei mondi che rappresentano i due protagonisti. Le incursioni nella comunità ebraica sono molto ricche e attente ai particolari dando uno spazio significativo anche al marito di Meira (interpretato efficacemente da Luzer Twersky) che a modo suo cerca di trovare un margine di recupero nel rapporto di coppia con l’amata moglie richiamandola anche ai suoi doveri di madre.
Ma la macchina da presa non esprime giudizi di sorta sulle due realtà, piuttosto indaga, cerca di capire, puntando l’obiettivo non solo e non tanto sulla “contrapposizione” religiosa, ma piuttosto sulla crisi del personaggio femminile, sulla sua incapacità di vivere in un contesto sociale così rigido, per quanto legato alla sua vita.
Da sottolineare, comunque, la splendida interpretazione di Hadas Yaron, già protagonista di La sposa promessa con la quale nel 2012 ha vinto la Coppa Volpi al Festival di Venezia, che disegna Meira con grande capacità, dando forza alla sua vulnerabilità ed esprimendo con lo sguardo e l’espressione la sofferta evoluzione del suo personaggio.