THE STONE ROSES

Alle origini del brit-pop post Beatles

Nel 1989 a Manchester sulle vecchie ceneri del punk ormai sepolto da un pezzo, nasce una perla di pop britannico, l’omonimo debutto degli Stone Roses. Un disco che nel suo piccolo, ha segnato la storia del rock inglese dando vita all’osannato brit pop e influendo in modo radicato sulla maggior parte dei gruppi che hanno calcato la scena musicale degli anni 90 vedi Suede, Oasis, Blur e Verve.

Gli Stone Roses furono i maggiori esponenti, assieme ai Happy Mondays e i Charlatans, del “Madchester” detto anche “baggy” (che indica il look dei gruppi fatto di t-shirts e pantaloni extra large); piccolo fenomeno popolare giovanile esploso in Inghilterra a cavallo tra gli ultimi anni ottanta e primi novanta, che fondeva melodie pop leggere a ritmi dance/acid house con spruzzate di retro pop modernizzato e impazzava come un trend soprattutto nei rave party e discoteche dell’epoca. Le “Rose di pietra”a differenza degli intellettuali e riflessivi Smiths suonavano lasciando trasparire uno spirito adolescenziale del tutto spensierato pur dimostrando una maturità tecnica e compositiva strabiliante.
Infatti, aldilà del valore del gruppo più o meno rilevante nel contesto sociale e nell’evoluzione musicale,”The Stone roses” rimane una raccolta di canzoni fatte di guitar-pop pulito, gradevole e ottimamente suonato da notevoli talenti, menzione speciale a “Reni” il batterista e “Mani” il bassista.
Le melodie, pensate da Ian Brown (vocalist) e John Squire (chitarrista) sono fresche, orecchiabili, argute e lievemente melanconiche così come tradizione Beatlesiana vuole.Vantano di una sezione ritimica estremamente varia accompagnata da sonorità cristalline inghiottite da quell’atmosfera velatamente oscura imbevuta di riverbero, tipica delle produzioni pop/rock degli anni ottanta.
Attacca in sordina la traccia apripista “I wanna be adored” che possiede quel potere seduttivo delle canzoni che restano nel tempo. Psichedelica e solenne, magica e irresistibile nel suo intro progressivo, tra le parole – I don’t have to sell my soul is already in me – Brown canta il peccato della fama e di come la gente farebbe qualunque cosa per essere idolatrata.
Sprizza brio invece la innocente “She bangs the drums”, singolone che dominava le classifiche inglesi del periodo e che strizza l’occhio al celebre “Pet sounds” dei Beach Boys.
Le sperimentazioni e l’effettistica sfrenata trovano spazio nell’allucinata “Don’t stop”, mentre in quasi ogni canzone come la deliziosa “Bye bye badman” ,che si improvvisa countryeggiante nel chorus, e la dolce ballata “(Song for my) Sugar spun sister” si avverte un forte sapore squisitamente sixties che riecheggia i Byrds e ancora una volta i Beach Boys con tanto di coretti qua e la a rincorrere i ritornelli e Simon&Garfunkel nelle armonie e sovrapposizioni vocali.
La voce di Ian Brown, che si può dire abbia fatto la fortuna dello stile interpretativo di Liam Gallagher degli Oasis, non è particolarmente memorabile ma si sposa bene con lo spirito sixties dei pezzi. A fare la parte del leone sono soprattutto Squire che con la chitarra personalizza le canzoni decorandole un po’ ovunque e “Reni” che con la batteria padroneggia e le rende uniche.
La sottile malinconia e il chitarrismo degli Smiths si mettono in luce nella trascinante “Made of Stone”, uno dei pezzi più belli assime alla traccia di chiusura. ”I am the resurrection”, infatti, è il piccolo capolavoro che chiude in bellezza questo album. Un gioiellino della durata di oltre 8 minuti ricco di ritmo e di groove specialmente nella linea di basso ispirata a quella di Paul Mc Cartney in “Taxman”, e carisma mistico nei versi tratti dalla Bibbia – I am the resurrection and i am the life – impreziosito nel finale da un pezzo strumentale che dimostra la vena creativa del quartetto inglese.
Gli Stone roses sono un gruppo che ha esordito col botto e degenerato lentamente tra battaglie legali con la casa discografica, lavori solisti non proprio riuscitissimi, e infinite raccolte di remixes e Best of.
Il repentino scioglimento della band risale a poco dopo l’uscita di “Second coming”, il secondo atteso album pubblicato nel 1994 per la Geffen che malgrado abbia deluso la critica e riscosso poco successo di pubblico, ha regalato comunque pezzi degni di nota, tra i quali “Love spreads” dove Squire ha dato libero sfogo alla sua creatività artistica sfoggiando un chitarrismo alla Jimi Hendrix.
Oggi il ricordo del quartetto di Manchester è strettamente legato a quel fortunato debutto che ad ogni riedizione emerge nelle classifiche degli album inglesi più venduti e nelle classifiche degli album più belli degli anni 80. Perché questo è uno di quei dischi che si avrà sempre voglia di riascoltare.

Discografia:
The Stone Roses (1989)
Turns Into Stone (1992)
Second Coming (1994)
The Complete Stone Roses (1995)
Garage Flower (1996)
Tracklist: 1. I Wanna Be Adored 2. She Bangs The Drums 3. Waterfall 4. Don’t Stop 5. Bye Bye Badman 6. Elizabeth My Dear 7. (Song for My) Sugar Spun Sister 8. Made Of Stone 9. Shoot You Down 10. This Is the One 11. I Am The Resurrection