Primo per nascita anagrafica, primo per la varietà dei temi trattati, primo per le iniziative collaterali (vedi la rassegna sull’editoria di montagna), il Film Festival di Trento ha voluto anche con questa cinquantacinquesima edizione mantenere il suo primato con un programma molto articolato ed una serie di manifestazioni collaterali di buon livello. Obiettivo dichiarato era quello di non limitarsi alla presentazione di film piacevoli o emozionanti, ma di proporre documentari e fiction qualitativamente capaci di rispecchiare la realtà attuale facendosene interpreti critici.
Nonostante la varietà degli spunti, dei racconti, delle ambientazioni, dei temi trattati, il dato caratterizzante questa edizione lo si può cogliere nell’insistita riproposizione della degradazione dell’ambiente in cui viviamo. Nella giornata di apertura, una conferenza incentrata sulle problematiche ambientali ha illustrato e commentato il video in cui Al Gore, il concorrente alla Casa Bianca battuto da Bush in modo non cristallino, ha, con una serie impressionante di dati, grafici, tabelle, fatto il punto sullo stato di salute del nostro pianeta. Il dato più allarmante che ne è emerso non è tanto il livello altissimo e generalizzato di inquinamento dell’atmosfera sin nei suoi strati più elevati, ma l’accelerazione con cui questo degrado si realizza. Dati alla mano è risultato che l’accelerazione percentuale del grado di inquinamento degli ultimi cinquanta anni corrisponde al grado di accelerazione dei precedenti 650 anni. D’altra parte, per rendersene conto, basta mettere a confronto l’estensione dei principali ghiacciai quale era trenta anni fa e quale è ora.
Si è parlato in altri contesti di risorse disponibili e di un loro uso intelligente e razionale.
Quanto ai film la media è apparsa di buon livello e già dal film della serata inaugurale si è potuto notare la ottima qualità di alcune scelte. La riproposizione dell’edizione originale del capolavoro di Chaplin La febbre dell’oro accompagnato per la prima volta dalle musiche create dal regista per l’edizione sonora del 1942, ha proiettato il festival verso una dimensione di eccelsa qualità. I documentari di carattere etnico erano tutti molto apprezzabili, aprendo squarci significativi su esperienze e mondi spesso inimmaginabili. Difficile anche scegliere il migliore fra i film in concorso che hanno spaziato dal Kazakistan al Perù dallo Yosemite, alle Ande, in un crogiuolo di audacie, passioni, amori, favole, eroismi, lotte fra il bene e il male che si accendono e scontrano sullo sfondo di splendide montagne maestose e indifferenti testimoni di tutti questi umani travagli.
Difatti la Giuria è stata in imbarazzo per assegnare il primo premio tra concorrenti ricchi di prestigiosa professionalità.
Il favorito dalla vox populi era il tedesco di Friburgo, Pepe Danquart con il suo lungometraggio (95’) intitolato Am Limit, la storia di due fratelli che sfidano continuamente i loro limiti e con le loro imprese affascinano il mondo, portando all’estremo il loro rischiare. Il pubblico e i critici ne erano affascinati. Danquart ha dovuto accontentarsi, si fa per dire, della “GENZIANA D’ARGENTO”. Quella D’ORO, per le elevate qualità stilistiche e contenuti sociali e umanissimi, è toccata al palermitano Stefano Savona, autore del magnifico Primavera in Kurdistan, narrante la storia di un piccolo esercito di guerriglieri curdi che combattono per l’autodeterminazione del loro popolo.