In questi due episodi, che potremmo definire di transizione almeno per quanto riguarda la storyline principale, i destini delle due correnti della si intrecciano, come a rendersi conto dell’esistenza dell’altro ma in un certo senso per fare i conti con se stessi, per capire l’ormai prossimo cambio della guardia.
E per raccontare questo, specie nel primo dei due episodi, si prendono come simboli Josh, l’ex capo delle comunicazioni ora in forza alla campagna di Santos, e Toby, responsabile dei rapporti con la stampa, che – filtrati attraverso l’ombra del presidente Bartlett ci parlano di come la serie, e la politica di cui parla, stia definitivamente cambiando.
Alla Casa Bianca, Josh è in visita per discutere di una proposta di una senatrice che pare copiato da una vecchia proposta di Bartlett, mentre il suo posto è proposto a Clifford Calley; Toby, invece piange la morte del fratello e – appoggiando la proposta della senatrice – affronta le perplessità di Josh. Nel frattempo, Santos cerca di entrare in un convegno dal quale è stato escluso per far votare una legge sulle cellule staminali. Due episodi piuttosto diversi, come importanza nell’economia della serie, ma anche come dedizione al racconto, entrambi comunque attenti ai personaggi più che agli eventi.
Il primo, scritto da Debora Cahn e diretto da Alex Graves, dolentemente malinconico, è basato su una scontro che mette nostalgia per la fine dichiarata di un’era e, oltre a giocare sul confronto – anche a livello di struttura narrativa – tra Lyman e Ziegler, tiene intelligentemente in sottofondo la figura del potenziale sostituto di Josh; il secondo, invece scritto Carol Flint e diretto da Richard Schiff, è un episodio più disteso e sorridente, più vicino agli esordi della serie, se non un passo indietro di sicuro un momento di distensione.
E il fatto che l’abbia scritto l’attore che interpreta Ziegler, sommato al ruolo divertente e importante che Calley assume nell’imbucare Santos, sembrano una specie di dichiarazione di partecipazione degli autori che, come lo spettatore, cominciano a sentire una sorta di comprensibile rimpianto del passato verso personaggi e situazione che inesorabilmente cambiano.
Ciò non toglie che, mentre il primo dei due episodi ha – seppure in sordina – l’afflato della serie, il secondo sembra metterne in scena i principali difetti, specialmente uno slancio liberal fin troppo sfacciato (soprattutto nel segmento dei bambini che chiedono diritto di voto) e statico.
Episodi che paiono quindi un po’ chiusi in se stessi, specie il secondo, e che per convincere devono concentrarsi sullo scontro tra Bradley Whitford e Richard Schiff che culmina in un’ironica e triste scazzottata, oltre che su uno spassoso Martin Sheen geloso del suo rivale economista giapponese. Forse gli autori preferiscono la rassicurante austerità di Ziegler, ma noi (o perlomeno chi scrive) anche alla luce dell’episodio da Whitford scritto (6×10, Uno scambio inaccettabile) continuiamo a preferire l’irresistibile vitalità, se si vuole cinica, del caro Josh.