Parlare per la prima volta di una serie, cominciando dalla première della sesta stagione, è un esercizio critico un po’ complicato, soprattutto perché si dovrebbe condensare, parlando di un solo episodio, tutte le tematiche, le caratteristiche, persino la poetica dell’intera serie; ma questa occasione è particolarmente ghiotta, visto il trattamento che a questa serie è stato sempre riservato in Italia, in particolar modo da Rete 4.
Dopo le prime quattro stagioni, mandate in onda tra la seconda e la quarta serata, vale a dire intorno l’una di notte, la rete Mediaset cede i diritti a Sky, che ne trasmette la quinta in prima serata, per poi pentirsene e cedere di nuovo i diritti a Mediaset, che però stavolta passa la serie sul digitale terrestre. Il canale Steel del pacchetto Premium, manda in onda dall’11 gennaio, in prima serata, la sesta stagione (senza aver replicato la quinta, ma è un problema di diritti che a noi interessa poco) e ci sembrava il caso di approfittarne per parlarne.
Come qualcuno saprà, la serie racconta delle vicende politiche e personali di un ideale residente degli Stati Uniti, Jed Bartlett, e del suo staff, in particolar modo coloro che si occupano della comunicazione: in questo inizio di stagione, Bartlett si trova ad affrontare una grave crisi diplomatica dopo che un attentato palestinese ha ucciso due parlamentari americani, un alto ufficiale e ferito, Donna, una delle segretarie dello staff.
Mentre Josh Lyman, uno dei capi della comunicazione, segue l’operazione a Donna, il presidente tratta con Israeliani e Palestinesi per evitare l’ennesimo conflitto, anche se l’opinione pubblica, chiede all’amministrazione un atto di rappresaglia per le vittime.
Serie drammatica e politica, venata d’ironia e di tocchi mistery, creata da Aaron Sorkin – che ne ha ceduto il timone produttivo a John Wells a inizio quinta stagione – per raccontare il dietro le quinte della politica americana e del suo rapporto con le varie forze esterne, dai giornalisti al popolo, passando soprattutto per le sabbie mobili del Congresso, e per provare a smontare i processi che, dall’immagine politica portano alla creazione del consenso. Col passaggio al comando di John Wells, la serie ha un po’ messo da parte la parte riflessiva, il processo di svelamento, per fare spazio all’intreccio, alle situazioni più o meno grandi che ne costituiscono gli scheletri orizzontali e verticali, sempre con al centro la politica, ma raccontata in un modo più “avventuroso”.
Questa première di stagione, scritta dallo stesso Wells e diretta da Alex Graves, esemplifica chiaramente il nuovo corso dell’Ala Ovest televisiva, con una situazione di guerra tesa e diretta, dove la morte la suspense della battaglia contro il tempo sono meno sottili delle schermaglie delle prime stagioni, e dove il conflitto interno tra falchi e aquile, pace e guerra, vendetta e giustizia, diventa più esplicito, soprattutto nel rapporto con il Parlamento e i suoi rappresentanti, anche se al centro c’è sempre la parola e i suoi molteplici risvolti (esemplare la reazione di Toby a una missiva del Congresso in cui si dichiara che il Presidente ha “l’autorità e l’imperativo dovere” di attaccare).
Graves, uno dei registi storici della serie, calibra il ritmo e ritocca lo stile a seconda delle situazioni o della storyline da seguire, il tutto con un linguaggio sempre molto ricercato (la panoramica circolare dal’alto, durante le discussioni sull’attacco) che – coerentemente con la base teorica della sceneggiatura, centrata sulla forma e l’importanza dell’arte oratoria e della comunicazione politica e pubblica – sa usare la retorica, nel senso migliore del termine, come dimostrano i molti carrelli a stringere sui volti dei personaggi o il magnifico doppio colloquio telefonico, in cui la maestria del montaggio ha il suo peso.
Caratteristiche queste che hanno reso la serie una delle migliori di sempre e che, nonostante un appannamento durante la scorsa stagione, pare aver ripreso decisamente quota, grazie anche all’apporto di un cast meraviglioso, in cui, oltre al sempre bravo Martin Sheen, si segnalano le grandi performance di John Spencer (il capo dello staff, Leo McGarry) e Bradley Whitford (il capo della comunicazione, Josh Lyman). E che il digitale terrestre, come il suo omologo satellitare, possano continuare a essere patria per ogni buon telefilo.