“Nell’opera pittorica tizianesca, realizzata nell’arco di un sessantennio, si avvicendano due civiltà: si potrebbe dire quella dell’Ariosto e l’altra dello Shakespeare. Il codice espressivo tizianesco a sua volta sarà di base alla civiltà pittorica occidentale, che dal Rubens e dal Velàzquez si conclude nel nostro secolo con l’avvento del cubismo.”
Così scrisse nel 1969 Rodolfo Pallucchini, celebre storico dell’arte che fu anche Direttore delle Belle Arti presso il Comune di Venezia e Segretario Generale della Biennale; e così inizia anche la mostra che le Scuderie del Quirinale dedicano a Tiziano Vecellio, una delle esibizioni più importanti del 2013, a cura di Giovanni C.F. Villa.
Roma accoglie le opere del maestro dal 5 marzo al 16 giugno, in una collezione che intende ripercorrere anno dopo anno la sua intera vita e il relativo sentiero professionale: dai ritratti ai soggetti religiosi, dalle grandi pale alle tematiche mitologiche, profane. Un potente elenco di titoli fatti appositamente pervenire da ogni luogo del mondo: Vienna, Anversa, Berlino, Parigi, Londra, Madrid, Budapest, e poi ovviamente l’Italia, con il primato di Firenze, Roma e la tanto amata Venezia.
Si parte con un Autoritratto e sempre con un Autoritratto si chiude, simbolicamente; in mezzo, una schiera di opere che costituiscono l’arte italiana più celebre, quella da cui presero spunto migliaia di pittori dal Cinquecento in poi: l’accesa espressività, le figure vibranti, le velature di colore, l’uso sapiente – e innovativo – della luce, la vaghezza delle figure che ritrovano nei tratti dell’anima la perdita della linea netta, dei contorni definiti.
Nella mostra romana c’è un esempio di tutto: quel ritratto intimista e introspettivo che tanto fece apprezzare Tiziano dai committenti contemporanei (Uomo col guanto, Ritratto di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, Ritratto del cardinal Pietro Bembo, Ritratto di Giulio Romano); le scene religiose in cui protagonisti della tela diventano la Vergine, il Cristo, i santi e – insieme ad essi – la luce, i paesaggi dello sfondo quasi sempre dipinti al tramonto, l’intenso significato allegorico. Ancora, cambiando genere, Orfeo ed Euridice, La Bella e Flora, sul cui viso vale la pena di soffermarsi qualche minuto per apprezzare la prodigiosa maestria nella gestione delle forme e del chiaroscuro. Ma è nell’Annunciazione – due, in realtà: una recuperata dalla Chiesa di San Salvador di Venezia, l’altra dalla Scuola Grande di San Rocco – che si condensa tutto il potere del colore, oltreché del talento tizianesco.
Vale la pena sottolineare che in questo caso la mostra non è soltanto pittura: il Palazzo delle Esposizioni organizza infatti parallelamente all’esposizione “I mercoledì di Tiziano”, incontri di approfondimento sui grandi temi dell’arte e della cultura. A questa iniziativa si affianca il “Tiziano Grand Tour”, un insieme di attività collaterali di valorizzazione territoriale che prenderanno le mosse proprio dalla figura del maestro veneto. Infine, molte le proposte per le scuole, tra cui Laboratori d’Arte che racconteranno il “Divin Pittore” con il linguaggio dei piccoli.
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