Torino: “Arthur Newman” di Dante Ariola

Un uomo nuovo

Torino 30. Concorso
A suo tempo, Mattia Pascal di Luigi Pirandello si era trasformato in Adriano Meis. Oggi invece si trasforma in Arthur, come una stella, e Newman, uomo nuovo. Così si fa chiamare Wallace Avery nella sua nuova identità e, come nell’opera pirandelliana, tutti parlano bene di lui, da quando lo credono morto. Ma è da questo balletto di ipocrisia e di perbenismo borghese ciò dal quale Wallace/Arthur (e con lui chissà anche quanti altri di noi, comuni persone per bene!) è voluto fuggire.

Generoso ma troppo timido per essere un buon padre, marito distratto e divorziato, non una nullità sul lavoro ma nemmeno brillante, non più giovane ma non ancora vecchio, non un atleta ma tuttavia prestante, Arthur come golfista amatoriale è invece ottimo, anzi, sbalorditivo. Quando gli si prospetta un ingaggio nell’esclusivo club di Terre Haute, in Indiana, fa letteralmente carte false: si libera della vecchia identità, assume quella nuova di Arthur Newman e parte. Con sé solo una borsa piena di dollari e un libro, “Biografia di un golfista”, di Arnold Palmer.

Durante il viaggio, di motel in motel, incontra Mike, bella e giovane donna, molto più squinternata di lui. Mike è oppressa dal timore di avere ereditato la tara della schizofrenia paranoide della madre e della sua gemella. Cleptomane e balzana lo è e forse anche un po’ paranoica. Lo mette in un sacco di guai ma la sua pazzia sostiene l’uomo nuovo che cerca di liberarsi del vecchio. Insieme entrano nelle case delle persone assenti, in vacanza, in viaggio di nozze o al lavoro, e vivono le loro identità, indossano i loro abiti, si amano nei loro letti. Un modo per illudersi di aver azzerato l’abitudine, di inventare una vita sempre nuova. Ma arrivato all’agognata Terre Haute, così come Mattia Pascal non poté sposare Adriana, Arthur non ottiene il desiderato ingaggio, semplicemente perché Arthur non è mai esistito. Troppo ingenuo e semplicione: nell’epoca di internet e face book, delle carte di credito e della tracciabilità, non poteva pensare di farla franca.

Tornano i fantasmi della sua vita vera, della quale non sa e non può disfarsi, e gli pesa anche il ricordo del figlio tredicenne, del quale aveva inizialmente negato l’esistenza. Deve dunque ritornare ad essere Wallace, abbandonare Arthur e, a malincuore (ma poi chissà…), anche la bella Mike.

Il tema è interessante, anche se già molto e meglio trattato. Il vero punto forte del film è l’interpretazione di Colin Firth, che riesce ad essere meraviglioso nella parte dell’uomo ora incerto e timido, ora un po’ pavido e benpensante, ora stupito e impacciato, talvolta invece appassionato e romantico. Buona anche l’interpretazione di Emily Blunt.
Il regista statunitense Dante Ariola ha un brillante curriculum di regista pubblicitario. Con questo suo primo lungometraggio una cosa l’ha sicuramente dimostrata: di saper scegliere e dirigere molto bene i suoi protagonisti.

ARTHUR NEWMAN di Dante Ariola (USA, 2012, DCP, 101’)
Con Colin Firth, Emily Blunt