“Tosca” di Giacomo Puccini

Tosca allo specchio

Proporre un’opera di repertorio funziona sempre da richiamo verso un pubblico più vasto e ciò si è ripetuto anche in questa Tosca veneziana, salutata da caldissimi festeggiamenti

Riallestire l’ennesima Tosca oggi è proponibile solo se si ha un’idea originale e Robert Carsen, nell’allestimento dell’Opera di Amburgo di alcuni anni fa, ha dimostrato di averla, con un unico neo: il taglio in diagonale del palcoscenico e dell’azione sfavoriva pesantemente buona parte dei palchi prospetticamente non in linea.

Come spesso capita nelle regie moderne l’idea di delocalizzare o di desemantizzare l’azione porta in questo caso alla perdita della romanità dell’ambiente. Palazzo Farnese e Castel S. Angelo sono un ricordo, mentre la chiesa di Sant’Andrea si trasforma nelle quinte di un teatro in cui recita Tosca, che Carsen vuole cantante diva degli anni’40. Tosca recita quindi e l’intera vicenda viene riletta in modo accattivante e sarebbe ben riuscita se gli attori sentissero i propri ruoli sulla scena.

In questo spettacolo ciò che manca non è nell’idea registica, ma nella sua adattabilità al cast. Daniela Dessì e Walter Fraccaro, appurata una certa incompatibilità scenica, non sembrano minimamente collaborare l’uno accanto all’altro e comportarsi da veri amanti gelosi ed alteri. Lei ostenta un rifiuto fisico nei confronti del pittore che sembra esserle una croce, lui non ne vede la delizia dell’amore. Vocalmente le cose non migliorano: per quanto riguarda la Dessì, pur avendo superato le settanta repliche del personaggio, si racchiude in uno schematismo vocale da neofita. Lascia cadere nell’indifferenza più totale un’invocazione a Scarpia quale “Assassino! Voglio vederlo”, che dovrebbe essere frammista di pietà e di rabbia al contempo, risolvendola invece in una frettolosa indifferenza. Fraccaro esibisce un canto di forza che sfocia in un’impressionante volume, ma in una pochezza miserevole quanto a fraseggio. Lo Scarpia di Guelfi si è ormai così schiarito timbricamente che la sua autorità non è lontana dalla macchietta.Comprimari mediocri e, duole dirlo, anche il coro dei bambini latita, gigioneggiando molto e facendo capire ben poco quanto ad articolazione.

La bacchetta di Daniele Callegari non brilla, anzi, sembra assecondare i vizi dei cantanti e, soprattutto nelle scene d’insieme, appesantire volumi inutilmente e sfociare in un fracasso tensivo per nulla incisivo.

Tosca, melodramma in tre atti – libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica – musica di Giacomo Puccini
maestro concertatore e direttore: Daniele Callegari – regia: Robert Carsen – scene e costumi: Anthony Ward – light designer: Davy Cunningham (ripresa regia Didier Kersten)
personaggi e interpreti principali
Floria Tosca: Daniela Dessì
Mario Cavaradossi: Walter Fraccaro
Il barone Scarpia: Carlo Guelfi
Cesare Angelotti: Alessandro Spina
Il sagrestano: Roberto Abbondanza
Spoletta: Iorio Zennaro
Sciarrone: Franco Boscolo
Un carceriere: Giuseppe Nicodemo
Coro voci bianche Piccoli Cantori Veneziani
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, Maestro del Coro Alfonso Caiani
allestimento della Staatsoper di Amburgo
durata dello spettacolo 2 ore e 25 min.
www.teatrolafenice.it