Fotografie e immagini del ricordo guidano la messinscena attraverso le istantanee di un passato, costruito secondo il “meccanismo della memoria”
Teatro Stabile di Torino e OTC Onorevole Teatro Casertano presentano
Tradimenti
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
con Nicoletta Braschi, Enrico Ianniello, Tony Laudadio e Nicola Marchitiello
scene e costumi Lino Fiorito – luci Pasquale Mari – suono Daghi Rondanini – regia Andrea Renzi
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Venerdì 5 marzo 2010 alle ore 21.00 (in replica fino a domenica 14), al Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, il Teatro Stabile di Torino e l’OTC Onorevole Teatro Casertano presentano Tradimenti di Harold Pinter, traduzione di Alessandra Serra.
Ne saranno interpreti Nicoletta Braschi, Enrico Ianniello e Tony Laudadio, che tornano in scena insieme, dopo il successo de Il metodo Grönholm, diretti da uno dei più interessanti interpreti della nostra scena, Andrea Renzi ed affiancati da un quarto interprete, Nicola Marchitiello. Le scene e i costumi sono a cura di Lino Fiorito, le luci di Pasquale Mari, il suono di Daghi Rondanini.
Tradimenti (Betrayal), commedia che Harold Pinter scrisse nel 1978, è stata celebrata fin dagli esordi come uno dei maggiori testi del premio Nobel inglese, grazie ai dialoghi stringati, alle ambigue emozioni che filtrano attraverso il fair play dei protagonisti, all’ipocrisia dei rapporti personali e professionali.
La pièce parte dall’appuntamento tra due ex amanti che, anni dopo la fine del loro affaire, s’incontrano in un pub. In nove rapide scene si riavvolge il nastro della storia clandestina dei due, fino al bacio che sigla l’inizio della relazione tra Emma, sposata con Robert, e Jerry, miglior amico dell’uomo.
Tra viaggi all’estero e riferimenti al sofisticato mondo in cui si muovono i protagonisti, Tradimenti mette in scena personaggi poco amabili e profondamente egotici, le cui parole vengono smentite dai fatti, scena dopo scena, in un brutale viaggio nel tempo ma anche viaggio alla ricerca dell’identità di ciascuno, che sembra strutturarsi proprio partendo dai ricordi.
“Restituire un’osservazione delle relazioni umane – spiega il regista in una nota – così esatta e pure sospesa, dolorosa, immutabile, a volte leggera e piena di umorismo, significa avere una occasione per mettere lo spettatore e la sua coscienza di fronte alla irriducibile complessità di ogni essere vivente e questo rappresenta una necessità dell’atto teatrale. Qui si consuma, nell’assoluta fedeltà al testo, un ulteriore ‘tradimento’, che spero spinga a interrogare le nostre relazioni umane, a misurare i confini tra reale e irreale, tra vero e falso.
Questa commedia racconta, semplicemente, una storia d’adulterio, perché nell’esistenza d’ogni individuo è l’accidente più normale. Ma la sostanza della nostra vita, il suo ‘rischio’ e la sua ‘avventura’ è, appunto, la difficile ricerca della propria identità.
Anche i protagonisti di Tradimenti, Emma, Jerry, Robert, come tanti altri antieroi pinteriani, ricordano, per ridare concretezza, saldezza di contorni alla propria immagine, astratta e labile. La civile accettazione dei rispettivi tradimenti insinua il dubbio sottile che tutti e tre i protagonisti siano, consapevolmente, complici nel loro labirinto di bugie.
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Tradimenti (Betrayal), commedia che Harold Pinter scrisse nel 1978, è stata celebrata fin dagli esordi come uno dei maggiori testi del premio Nobel inglese, grazie ai dialoghi stringati, alle ambigue emozioni che filtrano attraverso il fair play dei protagonisti, all’ipocrisia dei rapporti personali e professionali. La pièce parte dall’appuntamento tra due ex amanti che, anni dopo la fine del loro affaire, si incontrano in un pub.
In nove, rapide scene si riavvolge il nastro della storia clandestina dei due, fino al bacio che sigla l’inizio della relazione tra Emma, sposata con Robert, e Jerry, miglior amico dell’uomo.
Tra viaggi all’estero e riferimenti al mondo sofisticato in cui si muovono i protagonisti, Tradimenti mette in scena personaggi poco amabili e profondamente egotici, le cui parole vengono smentite dai fatti, scena dopo scena, in un brutale viaggio nel tempo ma anche viaggio alla ricerca dell’identità di ciascuno, che sembra strutturarsi proprio partendo dai ricordi. Jerry ed Emma si amano, e il loro amore fluttua in un labirinto di bugie, che avvolge ogni cosa e semina menzogna ovunque: Emma tradisce il marito, Jerry tradisce il miglior amico e la propria moglie Judith, ma anche Robert ha tradito Emma con altre donne. E c’è quasi una prospettiva interna al testo che riguarda il tradimento: Jerry, agente letterario, e Robert, editore, sono figure di successo, ma Pinter insinua che le loro carriere siano la mistificazione delle loro aspettative di un tempo.
La civile accettazione dei rispettivi tradimenti permea di una soffocante amarezza l’intera vicenda, insinuando nello spettatore il dubbio sottile che tutti e tre i protagonisti siano complici nelle loro menzogne.
In un’intervista rilasciata a Furio Colombo, Pinter spiegava la struttura drammaturgica in questi termini: «È solo il trucco della memoria, La memoria è così. Comincia tutto dall’ultimo istante, si riavvolge all’indietro. Solo che sopra c’è la testa o il cervello o la logica o l’abitudine a pensare. Mettendo tutto alla rovescia, in Betrayal, io ho preso la memoria alla lettera, la memoria senza logica, che è una macchina stupida, come tutte le macchine».
E la crudeltà del testo non si ferma qui: Tradimenti è anche la storia del rapporto durato sette anni tra Harold Pinter e la giornalista televisiva Joan Bakewell, una relazione consumata dall’ombra dei matrimoni di entrambi, resa pubblica sulla scena da questa commedia e, infine, storicizzata da Michael Billington nella biografia del commediografo inglese a metà degli anni ’90.
E proprio Billington, a proposito di una ripresa del 2003 della commedia, commenta: «Questo è anche un testo che parla del potere della memoria e delle diverse aspettative di uomini e donne. Ogni incontro nel testo è oscurato dal passato: c’è un pranzo amaramente divertente tra i due uomini quando il ricordo di Jerry della sensualità di Emma è sovrastato dalla dolorosa scoperta di Robert del tradimento della moglie. Ma ciò che fa di questo testo più di un gioco ironico è la consapevolezza di Pinter della differenza tra i due sessi: non avevo capito quanto Emma consideri l’appartamento di Kilburn come un nido d’amore, mentre per Jerry si tratta di un semplice pied-àterre per il sesso.
C’è un momento mozzafiato nella scena a Venezia quando Emma fissa immobile la pagina di un romanzo, consapevole che Robert ha scoperto il suo segreto. E quando la commedia torna indietro nel tempo, lei emana colpevolezza e si torce come un serpente quando muta la pelle».
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Attraversare le stanze di Andrea Renzi
In Tradimenti è la struttura drammaturgica rivolta all’indietro che “ricorda” e crea attese e sospensioni. Pinter, modificando l’abituale “punto di vista”, costringe l’attenzione dello spettatore a ri-costruire il quadro d’insieme e la orienta più sul “come” che sul “cosa” è successo.
È una soluzione di montaggio che mette gli spettatori in condizione di osservare la vicenda da un punto di vista inedito. È la carrellata all’indietro degli eventi che accende una luce diversa sulle orditure degli inganni e delle omissioni. Consapevoli delle importanti esperienze di Pinter come sceneggiatore non può sfuggire il taglio cinematografico di questo testo. Siamo di fronte ad una commedia ovviamente priva di unità di tempo e di luogo. Le singole scene possono essere viste come istantanee, come scatti rubati agli snodi cruciali delle relazioni.
Discende da questa analisi della struttura drammaturgica l’intenzione di una ricostruzione “fotografica” degli scenari, delle “stanze” pinteriane. La foto trattiene un frammento di memoria, una scheggia di realtà che tradisce una realtà più ampia, evocata e irraggiungibile.
La foto congela, fissa per sempre qualcosa che la nostra memoria continua a modificare, a tradire. Ecco quindi un contesto che, a partire da immagini fotografiche, delinei gli ambienti in maniera più liquida e rarefatta di una ricostruzione scenografica tradizionale, mi è sembrato un percorso adatto alla specificità di questa “commedia della memoria”.
Una modalità che solleciti sul piano della visione la cristallina esattezza della scrittura e che crei un ambiente al tempo stesso concreto e sfuggente come i personaggi ritratti da Pinter.
E si giunge al fronte più interno della memoria quello che riguarda il rapporto che ciascuno dei tre protagonisti intrattiene con il ricordo, con la ricostruzione di quello che è accaduto. Questa è l’orditura che stiamo dipanando giorno per giorno con gli attori. Un lavoro di scavo che richiede capacità di immedesimazione, di stilizzazione, di messa in gioco del sé e del distacco.
Un lavoro di grande sottigliezza che per me rappresenta la vera sfida di questa messinscena. Restituire una osservazione delle relazioni umane così esatta e pure sospesa, dolorosa, immutabile, a volte leggera e piena di umorismo significa avere una occasione per mettere lo spettatore e la sua coscienza di fronte alla irriducibile complessità di ogni essere vivente e questo rappresenta una necessità dell’atto teatrale.
In questa complessità sono possibili vari livelli di lettura tutti legittimi. Pinter gioca con il consueto menage a tre e capovolge continuamente molti luoghi comuni con effetti spiazzanti – si pensi al doloroso sofferto e sarcastico autocontrollo di Robert.
È evidente che il tradimento verso se stessi è quello da cui derivano tutti gli altri. Ed è un tema forte anche il tradimento delle aspirazioni giovanili. Non a caso l’arco di tempo della vicenda va da una significativa, vorrei quasi dire simbolica, ultima festa della giovinezza,
nel ’68, a un incontro in un pub deserto dove tutto è passato, tutto è finito, come dice Emma, e siamo nel ’77. Se per i personaggi questo decennio rappresenta il passaggio di una linea d’ombra, per noi spettatori, a trent’anni dal debutto, quello stesso decennio diventa significativo storicamente, interagisce con il nostro immaginario.
Quegli anni oggettivati dagli abiti e dagli arredi suscitano ricordi o nostalgie, o rievocano speranze. E si consuma nella assoluta fedeltà al testo un ulteriore tradimento che spero spinga a interrogare le nostre relazioni umane, a misurare «i confini tra reale e irreale, tra vero e falso».
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Su Pinter di Guido Davico Bonino
Su questa Tradimenti (che è la penultima commedia di Pinter, del 1978: l’ultima (1980)
si intitola The Hothouse (La serra), ma è tratta da un giovanile copione incondito, addirittura del ’58) si sono scritte un sacco di inesattezze (anzi, en pinteresque, insensatezze) in occasione sia della prima americana, a Broadway (gennaio ’80), sia di quella parigina, al Théâtre Montparnasse (gennaio ’82).
Perché è sin troppo chiaro che questa non è una commedia sull’agiata borghesia intellettuale, quel genere di fauna prediletta dai nostri settimanali bene informati («perché, dunque, lui fa l’editore, l’altro l’agente letterario, e c’è, sullo sfondo, anche uno scrittore…»): e, meno che meno, è una commedia sull’amore.
In una delle rare interviste concessa, a New York, ad un osservatore italiano, Furio Colombo, Pinter ha spiegato Tradimenti, o almeno la sua singolare struttura drammaturgica, con queste parole: «Non è mica una furberia la mia. È solo il trucco della memoria. La memoria è cosi.
Comincia tutto dall’ultimo istante, si riavvolge all’indietro. Solo che sopra c’è la testa o il cervello o la logica o l’abitudine a pensare. Mettendo tutto alla rovescia, in Betrayal, io ho preso la memoria alla lettera, la memoria senza la logica, che è una macchina stupida, come tutte le macchine».
Dobbiamo semplicemente memorizzare il nostro passato, quasi decidessimo di metterlo sotto teca, come il relitto di un’età che non ci appartiene più (gli antichi chiamavano questa facoltà di archiviazione con un bell’aggettivo, un poco malinconico, ritentiva)? Oppure dobbiamo piuttosto ricordarlo, recuperarlo giorno dopo giorno al presente, nello
sforzo di sentirci più vivi, più forti, nei continui patteggiamenti con un incerto futuro? E, in questo sforzo, possiamo aiutarci l’un l’altro, possiamo ricordare, per così dire, collettivamente? Eccoci giunti all’altro tema della commedia, che non è quello d’amore (l’amore è, semmai, il suo plot, il suo intreccio esterno), ma, ancora una volta, il tema della ricerca difficile della nostra identità.
Questa commedia racconta una storia d’adulterio semplicemente perché nell’esistenza d’ogni individuo è l’accidente più normale. Ma la sostanza, invece, della nostra vita, il suo «rischio» e la sua «avventura» (come dicevano certi nostri maîtres à penser d’autrefois, migliori, in tutti i casi, di quegli indisponenti
scolaretti-prodigio balzati alla ribalta in anni recenti) è, appunto, la difficile ricerca della nostra identità.
Anche Emma, Jerry, Robert, come tanti altri antieroi pinteriani, ricordano (cercano cioè di riattivare quanto loro è accaduto, l’amore e il tradimento, la gelosia e il possesso, l’orgoglio e l’umiliazione, ad un tempo, d’essersi donati, per breve tratto, l’uno all’altra) per ridare concretezza, saldezza di contorni alla propria immagine astratta e labile.
Lasciamo stare che questa ricerca si svolga tra ristoranti molto riservati e salotti molto confortevoli, tra lussuose camere d’albergo veneziane e gentilhommières firmate, presumibilmente, da architetti di grido. Qui non è in gioco la rivisitazione, alla english fashion, della tradizione boulevardière, come hanno scritto, nel loro imperdonabile sciovinismo, certi recensori parigini. Perché semmai, se proprio si vuole cercare quale tradizione Pinter intenda, garbatamente, mettere in parodia, allora bisogna guardare alla scena inglese, al Teatro del c’ero già stato del (beneducato e soporifero) John Boyton Priestley e a quello del Tentiamo alfine un bilancio coniugale del (beneducato, ma, se non altro, spiritoso) Terence Rattigan.
Ma non sono l’ambiente né il clima, qui, a contare: ché, anzi, tutta quella eleganza indolente, quella raffinata ignavia (mai come in questa commedia pause e silenzi sono cosi sottilmente protratti) non fanno che sottolineare la crudeltà di un recupero esistenziale impossibile, la desolazione di un itinerario senza approdo verso il proprio «io».
«Spesso – ha detto in passato Pinter, nella sua franchezza quasi infantile, a Lawrence Benski – mi guardo nello specchio e penso: “Ma chi diavolo è quel tipo là?”» E, ancora, in un’altra intervista: «Nulla mi sembra esistere di più concreto e di più sfuggente di un essere umano».
Non sono battute «giuste» per Emma, Jerry, Robert? Non si celano, tra le righe, battute disarmanti come queste in quella chiusa, dura come un’inoppugnabile sentenza, della prima scena di Tradimenti (che, però, è l’ultima, a livello della vicenda): «Non importa. È tutto passato. Sì? Che cosa è passato? È tutto finito».
Tradimenti, di Harold Pinter
Napoli, Nuovo Teatro Nuovo – dal 5 al 14 marzo 2010
Info e prenotazioni al numero 0814976267
[botteghino@nuovoteatronuovo.it->botteghino@nuovoteatronuovo.it]
Inizio delle rappresentazioni ore 21.00 (feriali), ore 18.00 (domenica)