All’interno del carcere torinese in cui è stato girato Tutta colpa di Giuda il regista Davide Ferrario e gli interpreti Kasia Smuntjak, Fabio Troiano e Luciana Littizzetto raccontano la loro esperienza.
Per presentare la sua “commedia con musica” Tutta colpa di Giuda Davide Ferrario ha scelto il luogo in cui la storia è stata girata: il carcere torinese Lorusso e Cotugno, dove da anni lavora come volontario a fianco dei detenuti conducendo un laboratorio. Una giornata che ha catapultato noi giornalisti nella realtà del “dentro” il carcere: niente telefonini, controlli meticolosi prima dell’ingresso, attesa davanti a cancelli chiusi per spostarsi nella sala in cui il film è stato proiettato. Attese che ci paiono lunghissime, ma all’uscita capiremo che non sono nulla di fronte all’attesa di chi nel carcere ci vive giorno dopo giorno, per anni.
Ad attenderci non c’è solo la troupe con gli attori: ci sono anche i venti detenuti della VI sezione, blocco A e le guardie carcerarie che di questo film “irrituale”, come lo ha definito Ferrario, sono i veri protagonisti: con le loro storie, le loro facce, la loro cortesia di “padroni di casa” per un giorno.
“La galera è come una recita a teatro“, dice all’inizio del film uno dei protagonisti ma, sottolinea Ferrario, “siamo tutti consapevoli che il carcere è una discarica sociale“. A partire dagli operatori: il direttore storico Pietro Buffa e la direttrice in carica al tempo delle riprese Claudia Clemente, che lavorano in un ambiente in cui, spiega ancora il regista “C’è una situazione al limite dove si dà il peggio di sè. Prova ne siano gli undici suicidi nelle carceri italiane negli ultimi tre mesi. Però qui dentro tutti lavorano facendo il meglio possibile compatibilmente con le condizioni ambientali“.
Kasia Smuntjak interpreta Irena, la giovane regista che deve allestire con i detenuti una rappresentazione della Passione: “Sono stata colpita soprattuto dalla gentilezza di queste persone. E paradossalmente mi sono sentita libera durante questo mese di lavorazione qui dentro. Si è creata una specie di famiglia: ogni giorno trovavo il caffè pronto, una volta uno dei detenuti mi ha regalato le ciliegie che la sua famiglia gli aveva portato dalla Calabria. Sono sicura di aver ricevuto molto di più da loro di quanto abbia potuto dare io. Il giorno più brutto per me è stato quello della fine delle riprese. Oggi scade il mio permesso e so che probabilmente vedo i ragazzi per l’ultima volta“.
Mentre parla con i giornalisti è una processione di detenuti-attori che la salutano come si fa con una vecchia amica, mentre poco distante Fabio Troiano, che nel film interpreta il direttore, ride e scherza con altri detenuti prima di raccontare che “Del carcere abbiamo, avevo, una visione distorta. Appena entrati Sergio Settimo, l’unico condannato all’ergastolo, mi ha portato in giro a vedere il carcere, come fossi stato davvero il direttore…“.
Già, perchè in questo film di non-attori, ognuno è veramente se stesso ed è una vera attrice, Luciana Littizzetto, che ha partecipato “amichevolmente” al film, a spiegarlo: “Quando sei qua dentro non è come fuori: qua non devi piacere a nessuno e quindi sei come sei. Servirebbe un po’ a tutti entrare qui, per capire che cosa è la vera punizione, la perenne attesa. Qui ho trovato ragazzi molto intelligenti, che sono convinta possano trovare una strada“. L’attrice torinese è il volto della disillusa Suor Bonaria, che ascolta Radio Maria e sgrida i detenuti per le foto osé appese nelle celle: “Suor Bonaria è una suora ossidata nei sentimenti, scettica verso chi arriva da fuori e vuole cambiare il mondo. E ho saputo che esisteva davvero una suora che si chiamava Bonaria, ma era sicuramente più bella… visto che i registi fanno a gara per farmi sembrare brutta“.
Girare un film in carcere non è stato semplice, nemmeno per un regista come Ferrario: “Perchè tutti i pensieri, anche politicamente corretti si confrontano con situazioni al limite. A differenza di San Vittore, storico e lugubre, o dei nuovi carceri ipermoderni, bianchi, asettici e silenziosi, il carcere di Torino è stato costruito negli anni Settanta, moderno e già obsoleto, ma ci vedi la fatica di esistere e la volontà di tenerlo su, malgrado le difficolta di un luogo che dovrebbe ospitare 900 detenuti mentre ce ne sono oltre 1600. Qui sono importanti i corridoi e soprattutto nei corridoi ho girato, oltre che nel cortile, perchè sono lunghi e ampi“.
Passando da quei corridoi i detenuti rientrano in cella, alle 14, dopo la proiezione. E noi ci avviamo all’uscita, per riprendere la nostra quotidiana vita “fuori”. Ripensando alle parole di Ferrario: “Fare questo film è stato come fare surf: non puoi andare incontro all’onda perchè ti travolgerebbe. Puoi solo cavalcarla“.
TUTTA COLPA DI GIUDA di Davide Ferrario usicrà nelle sale venerdì 10 aprile 2009.