U Tingiutu è una trama da thriller. Con il mistero dell’intreccio, i singulti della paura, lo scanto di un rumore. U Tingiutu tiene col fiato mozzato mentre mostra uomini che vestono i morti, uomini che parlano d’onore, uomini che staccano a morsi le orecchie di altri uomini. Uomini che leccano la coca come i cani dalla ciotola lasciata in giardino; uomini che danno ordini, uomini che li accettano.
U Tingiutu è un thriller innanzitutto perché c’è il morto e di quel morto c’è da sapere qualcosa. E poi perché c’è il gioco della psiche da comprendere, ci sono le dinamiche della violenza da accettare, da apprendere come elementi narrativi, con la lucidità del detective. Ma la parte dell’indagatore la fa il pubblico: sulla scena non c’è spazio per i buoni, non c’è redenzione.
Perché questa è storia di ‘ndrangheta. A raccontarla, in prima nazionale al festival Teatri delle Mura di Padova nel ventre già cupo del Bastione Alicorno, i calabresi di Scena Verticale, a far seguire gli Ubu conquistati nel 2007 con Dissonorata. Uno spettacolo, scritto e diretto da Dario De Luca, che esplora le dinamiche di una famiglia malavitosa all’indomani di un comunissimo sgarro. Da far pagare con la vita al tinto – tingiutu, appunto – di turno.
E allora la storia degli uomini torna indietro di mille e mille anni. I nomi dei personaggi sono i nomi degli eroi: Aiace, Agamennone, Ulisse, Menelao. La lotta tra gli uomini è lotta intestina, ora come allora. E anzi, sembra dirci De Luca, la lotta degli uomini svuota del mito persino la lotta degli eroi, che tornano meschini. “Passano gli anni e la storia si ripete”, per usare le parole di Enzo Biagi; ma c’è anche dell’altro: il sospetto sotteso che la natura dell’uomo sia immutabilmente animale.
Con momenti di tesissima e sospettosa leggerezza (molto ben articolata la scena d’apertura, con l’irruzione della musica di Pupo “che lo facciamo venire per la festa della Madonna”) la storia è tutta ambientata in una agenzia di pompe funebri. Una cornacchia sulla bara stempera la tensione, così come i costumi: tamarri, fuori moda, indietro nel tempo. Come questo micromondo, con crocefissi da baciare e pistole da puntare alla testa “per ubbidienza”. Eppure.
La forza con cui Dario De Luca, Rosario Mastrota, Ernesto Orrico, Fabio Pellicori, Marco Silani interpretano U Tingiutu è notevole. Una forza violenta e lucida, che urla “guardate come sono, sembrano uno stereotipo, sembrano una barzelletta ridicola, e invece sono veri”. I personaggi che si alternano sul palco sono credibili: e sono credibili gli sguardi, le voci, i volti degli attori. Sono credibili i dialoghi, le parole in dialetto, sono credibili i gesti, le torture. Sono credibili la disperazione e la vendetta, sono credibili la crudezza e il calcolo.
Uno spettacolo che affronta con grande consapevolezza artistica ed espressiva “l’importanza di un’educazione anti-mafiosa”, riprendendo le note di regia; e che riconferma, se mai ce ne fosse bisogno, la natura intrinsecamente sociale del fare teatro.
Scena Verticale “U TINGIUTU – Un Aiace di Calabria”
ideazione, testo e regia Dario De Luca
con Dario De Luca, Rosario Mastrota, Ernesto Orrico, Fabio Pellicori, Marco Silani
musiche originali Gianfranco De Franco, Gennaro “Mandara”de Rosa
assistenza alla regia Isabella Di Rosa
scene, costumi e oggetti di scena Rita Zangari
pupazzi Aldo Zucco
direzione tecnica e audio Gennaro Dolce
luci Gaetano Bonofiglio
organizzazione Settimio Pisano
in collaborazione con
Calabria Palcoscenico – Regione Calabria