A Pordenone colpisce la nuova sede che ospita la mostra di Jim Goldberg – 7 novembre 2010 / 30 gennaio 2011 – con 2110 metri quadrati di spazi espositivi, ricca di un’ampia terrazza che collega due strutture: spazio museale e spazio d’esposizione.
Tutti gli ambienti sono provvisti di un sistema di riscaldamento e rinfrescamento alimentato da una pompa di calore che sfrutta la falda acquifera sottostante. Tali spazi dalle linee anticipatrici architettoniche impreziosiscono la nuova Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Pordenone “A. Pizzinato”, denominata Parco.
Jim Golberg nato a New Haven nel Connecticut (Usa) –presente all’inaugurazione – professore presso il California College of Art and Crafts, è uno dei massimi artisti nel campo della fotografia ed è l’aedo del conflitto tra le classi sociali americane con uno sguardo denunciatore e scarnificatore dell’abiezione in cui è lasciata precipitare la classe dei senza tetto e dei cosiddetti invisibili.
La sua profonda analisi sulle classi sociali americane, dei loro miti e delle loro contraddizioni, pone in evidenza la contrapposizione dei disperati e dei fortunati miranti al potere e alla felicità. Ne fanno testimonianza in una delle sale, forti e penetranti immagini di alto impatto emotivo, 25 stampe in bianco e nero, arricchite dalle annotazioni delle stesse persone fotografate che nell’occasione venivano invitate da Goldberg a scrivere sulle foto le loro aspirazioni, percezioni, paure, illusioni.
Nella sequenze delle altre sale si sussegue la episodicità del suo progetto Open see, documentante l’esperienza delle persone che fuggono da situazioni sociali devastanti per aspirare a terre più ospitali in libere condivisioni.
Una sequenza pungente e ossessiva di flussi migratori dalle dimensioni bibliche.
La denuncia si fa più puntuale e orba di speranza quando l’artista tappezza la pareti di minuscole fotografie e di grandi foto incorniciate in cui volti e situazioni narrano l’indifferenza, l’isolamento, la sfrontatezza e la minaccia pur nella sconfitta, la voglia di cambiamento e di soccorso, il vuoto della desolazione.
Anche più raccapricciante la sequenza delle inquadrature della vasca rettangolare dei Campi di un centro cittadino della City Hall dove si ammassano gruppi di punk, di hippy e randagi, rastrellamenti di visioni nelle quali vestiti e giacigli gridano sporcizia e deliri. Gruppi seduti sulle rive di un fiume impestato di sporcizia, attendendo il loro turno di speranza.
Una mostra inusuale, coraggiosa, ispirata, dove la miseria è sublimata dalla pietas, mostra impostata secondo criteri avveniristici, tempestata di denunce e di grida da parte di una umanità che esige il suo posto ineludibile di accoglienza