La mostra cinematografica di Venezia ha cercato da sempre di sintonizzarsi sulle onde visibili e sulle correnti sotterranee del cinema nel cinema del mondo. Un altro dei suoi obiettivi programmatici è la valorizzazione del cinema italiano. Questa 68° edizione della rassegna ha centrato entrambi gli obiettivi mettendo in mostra i temi ricorrenti nelle varie cinematografie, temi ormai globalizzati come lo è l’economia mondiale, come lo sono in gran parte i comportamenti all’interno del nucleo familiare e le problematiche sociali.
Ecco quindi numerose opere specie di autori italiani che affrontano il tema dei migranti, (Terraferma di Crialese, Il villaggio di Cartone di Olmi, Cose dell’altro mondo con Abatantuono), lo scontro-incontro di culture e classi sociali diverse (Carnage di Polanski), la ricerca dell’identità del singolo (The exchange di Eran Kolirin), i dissidi, l’incomunicabilità nei rapporti (Louise Wimmer di Cyril Mennegun), i rancori sotterranei che emergono furibondi per poi ricomporsi per quieto vivere (A dangerous method di Cronenberg che li inserisce nell’incontro-scontro fra Frued e Jung) la paura della responsabilità nell’allevare un figlio (Quando la notte della Comencini) addirittura l’insofferenza e il rancore verso di essi per lo sconvolgimento che portano nel rapporto dei genitori (Himizu di Sono Sion), lo squallore etico-morale delle lotte politiche (Le Idi di marzo di Clooney).
Ma che si parli di crisi economica (Marecage di Guy Edoin) di disagi esistenziali (Shame di McQueen) di lotte politiche di depressione, di periferie desolate e di squallori nel profondo sud (Ruggine di Gaglianone) il filo rosso che sempre emerge è il sesso. Un sesso spesso compulsivo, aberrante insistito, nell’illusione che questi eccessi amorali siano sinonimo di libertà, mentre al contrario ne rappresenta una dipendenza al limite del patologico. Nessun freno morale nessun tentennamento di tipo religioso, ma la svalutazione di ogni regola, il trionfo degli eccessi specchio che riflette comportamenti ed esempi di buona parte della classe dominante e sembra in un certo senso giustificarle. E’ stato necessario attendere il film fuori concorso di Olmi, Il villaggio di cartone, per ritrovare una afflato di spiritualità, una riflessione poetica e meditata sulla carità, sull’aprirsi all’altro, sull’accoglierlo, a costo di rischi perché, come dice ad un certo punto il protagonista, il vecchio prete cui hanno messo fuori uso la Chiesa, privandola dei suoi arredi, proprio quando la carità corre dei rischi, è l’ora di esercitarla senza remore. Il film non è dal punto di vista estetico, uno dei migliori, ma è a questa opera che dobbiamo uno dei pochi momenti coinvolgenti e di grande umanità di questo Festival.
Vince il Leone d’oro Faust di Sokurov, superando tutti i superfavoriti della vigilia. L’opera del grande regista russo aveva riscosso consensi unanimi e non si esitava nell’usare il termine capolavoro, ciò nonostante non si puntava sul suo successo per una serie di circostanze sfavorevoli all’autore. Innanzitutto il film è stato presentato nel penultimo giorno del Festival quando pare che i giochi siano fatti e le decisioni ormai prese. Altro elemento negativo purtroppo molto influente nelle scelte finali, era la mancanza di agganci politici o economici capaci di premere per l’assegnazione del premio. La sua vittoria nel concorso principale vale quindi il doppio: la giuria non ha ceduto a compromessi; si premia la creatività, l’originalità di partire dal Faust di Goethe per realizzare un’opera che è capace di unire passato e presente, dando quasi forma concreta al famoso attimo finale che il Faust vorrebbe nell’istante supremo: fermare gli spazi scenografici in cui si svolge l’azione, sono cupi, ristretti, angusti, non occorrono grandiosità per fare emergere il drammatico contrasto fra corpo e anima, per rinnovare l’incomparabile magia delle immagini di questo film bellissimo ma difficile, poetico e di scarso richiamo per il grande pubblico abituato a film facili e non troppo problematici.
Faust rappresenta l’ultima parte di una tetralogia sul potere, dopo che nei primi tre film si è narrato di persone realmente esistenti: Hitler (Moloch), Lenin (Taurus), l’imperatore del Giappone Hirohito (Il sole). Il regista dice che l’immagine simbolica di Faust conclude la galleria dei ritratti dei grandi giocatori che hanno perso le partite più importanti della loro vita. Un eroe archetipo letterario nella cornice di una storia semplice.
Il premio speciale assegnato dalla giuria, va a Terraferma di Crialese. Si ripete quanto accadde nella edizione del 2006 quando a fargli vincere il Leone d’argento fu Nuovomondo. Vi è il sospetto che in questo caso abbiano pesato le pressioni dello stuolo di dirigenti di Rai Cinema che ha fortemente investito in molti dei 45 film italiani presenti nelle varie sezioni e non poteva tornarsene a casa a mani vuote. Pur trattandosi infatti di un film dignitoso e umanamente coinvolgente, socialmente apprezzabile per la sua tematica a favore dei migranti, non si può onestamente dire che si tratti di un’opera compiutamente riuscita, per il linguaggio tradizionale, per certe discontinuità, per l’esile soggetto che trova la sua forza nel messaggio di forte impronta cristiana nell’esaltazione dell’accoglienza verso “l’altro”, piuttosto che nella complessità dell’opera.
La Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile è assegnata a Michael Fassbender interprete del film di Steve McQueen Shame. L’immagine dolente e amara di un uomo comune ossessionato maniacalmente dal sesso è resa con umanità e misura. Vince la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile la vecchia serva del film di Ann Hui A simple life Deanie Yip. Nella interpretazione perfetta della domestica fedele e piena di dignità la sua aderenza naturale ed espressiva è veramente eccezionale. Confermando una tendenza pluriennale, anche quest’anno il film sorpresa Gente di montagna, gente di mare, di Shangjun Cai, si vede assegnare un riconoscimento, Il Leone d’argento per la migliore regia, forse per non smentire la tradizione più che per i suoi effettivi meriti. Si è apprezzato il modo lento, meditato, intenso con cui il protagonista, deciso a vendicare la morte del fratello, procede prima di arrivare alla ecatombe finale vista come catarsi dopo che nell’inseguire la sua folle vendetta, il vendicatore ha toccato i gradini più bassi. Nuova l’ambientazione nella cupa miniera dove i lavoratosi schiavi consumano la propria esistenza senza speranza.
Il premio Padre Nazareno Taddei SJ 2011, consistente in una targa d’argento, è andato a A simple life di Ann Hui in quanto è stato giudicato capace di esprimere autentici valori umani con il migliore linguaggio cinematografico.
Il premio Fedic se lo è aggiudicato Io sono Li di Andrea Segre per l’originalità di un racconto che intrecciando abilmente la fiction e il documentario, ci dona un ritratto efficace e convincente della realtà di oggi.
Leone del futuro-Premio Venezia Opera Prima nella Settimana della Critica a Là-bas di Guido Lombardi sullo scontro fra camorra locale e nuova mafia degli africani immigrati.
Nella foto Deanie Yip, vincitrice della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile per il film “A Simple Life” di Ann Hui.
Foto a cura di Romina Greggio Copyright © NonSoloCinema.com – Romina Greggio