“Veillée des Abysses” di James Thiérrée

Caos primordiale

La Veillée des Abysses, spettacolo di James Thiérrée, mette in scena un caos primordiale. Quando il sipario si alza è una nuvola indefinita a portare sul palco forme semiumane. Attimo dopo attimo, in uno scompiglio crescente, un quadro si materializza, l’informe cede il posto all’ordine. Dalla nube escono cinque attori. Sono loro i protagonisti di uno spettacolo fatto di corpi, immagini e suoni, ma soprattutto di uno spettacolo fatto senza parole, tenero e remoto come un film di Charlot.

Descrivere una rappresentazione come quella portata in scena da James Thiérrée risulta un’impresa fastidiosa, difficile e forse semplicemente inutile. In fondo é la natura profonda dello spettacolo a sconsigliare un’operazione del genere. Difatti la profusione e l’ibridismo di forme e mezzi artistici della Veillée esigerebbe una noiosa e poco attraente catalogazione. Con l’inevitabile risultato di annoiare con un’arida lista di fonti impiegate: mimo, acrobazia, danza, musica lirica, arte circense, etc.
Eppure l’impraticabilità di una descrizione costituisce tutto sommato la conferma della riuscita artistica dell’opera di Thiérrée. Nella scena della Véillée il linguaggio corrente, comune – il linguaggio convenzione umana – è solennemente escluso. Solo brani di lingue sconosciute e incomprensibili vengono, rare volte, pronunciate, cantate o sputate dagli attori. Come di riflesso, la parola perde nuovamente, questa volta nella descrizione dell’opera, il diritto di cittadinanza, costretta a rinunciare alle proprie prerogative.

Baraccone di sogni, celebrazione dell’assurdo, la Veillée des Abysses è come una collana di perle dove le scene, separate eppure unite da un filo sottile, si susseguono senza soluzione di continuità. Nondimeno, in questo calderone, dove tanti ingredienti sono mescolati, una coerenza di risultati, malgrado la varietà dei mezzi, viene avvertita. In fondo, l’autore svizzero non ha fatto altro che creare dal nulla la “sostanza dei sogni” e dispiegarla sotto gli occhi di un pubblico giubilante e incredulo nel riconoscere, mano a mano, le sue primordiali fantasie.
Dall’alba dei tempi l’uomo tenta di raffigurarsi il rapporto che corre tra noi e la creazione. Così, il confine tra individuo e natura è apparso a volte chiaro e netto, altre volte problematico e indistinto. Nella sua arte James Thiérrée aderisce all’ultima prospettiva, quella di una frontiera ambigua ed evanescente. Nell’universo della Veillée des Abysses una sembianza umana può, a volte, farsi strada da un miscuglio informe oppure, viceversa, un attore tramutarsi in una creatura mostruosa, una forma bruta, un inerte disordine. Non è forzato dunque vedere in Thiérrée un Ovidio contemporaneo, e nella sua opera delle nuove Metamorfosi, un poema teatrale moderno dove, con festosità ed estro, si affronta l’eterno tema della trasformazione dell’uomo e della natura.
L’autore svizzero adotta nelle sue rappresentazioni un’arte confinante con l’avanguardia surrealista. Eppure, a volte, la sua opera si avvale delle tecniche e dei mezzi di un’arte meno sovvertitrice e avanguardista. Di questa tradizione, Thiérrée è tra i più celebri eredi. Nello spettacolo, mescolate alle scene più stravaganti, si introducono “gag” di sapore antico, come uscite da vecchi film comici o dai circhi di ogni tempo. Ad esempio, verso la fine dello spettacolo quando, in una scena esilarante, la mano destra dell’attore si ribella al suo proprietario e costringe l’uomo ad un’assurda lotta tra la sua parte destra, violenta e ribelle, e la parte sotto il suo controllo.

In scene come questa non può non proiettarsi l’ombra di Charlie Chaplin, nonno materno di James Thiérrée. E ci viene naturalmente da pensare che il geniale Charlot non si mostrerebbe affatto scontento della strada scelta da James. In fondo, il suo estro immaginifico e la sua struggente tenerezza, non sono poi così dissimili da quelli che il giovane nipote sta esibendo oggi e, ci auguriamo, per molto tempo ancora.