Venezia 69: “Kiss Of The Damned” di Xan Cassavetes

Un'altra specie vampiresca

Settimana Internazionale della Critica
La magione: c’è. Le zanne: ci sono. Gli istinti non controllabili: ovviamente. Eppure…

Non appartengono alla razza di vampiri che conosciamo. I vampiri di Kiss Of The Damned mangiano (!) e bevono champagne (!!). Molti spettatori, spesso, per farsi al meglio intrattenere, soprassiedono su alcuni fondamentali del genere, ma dopo anni di Twilight e True Blood ci sono certe convenzioni che un po’ vanno rispettate. Possiamo chiamarlo un tropo, un punto fermo, uno snodo narrativo, un accelerante delle azioni: ma il vampiro non mangia. Il vampiro non sta al sole. Se vuoi far camminare queste creature alla luce (tiepida) devi sapermi dire perché non arrostiscono. Twilight s’inventa la luminescenza sulla pelle, True Blood il sangue sintetico. In Kiss of The Damned si abbraccia un genere senza pensare alle sue caratteristiche. Non lo si sovverte nemmeno, lo si ignora proprio, con alcune piccole ma significative scivolate nel ridicolo.
Per esempio, la trasformazione. Un momento topico, combattuto, ragionato, qui risolto con una fretta eccessiva (per Twilight siamo a quota 3 film e mezzo e la trasformazione non si capisce se è avvenuta del tutto).

Ma mettiamo ordine: il bel Paolo (Milo Ventimiglia) si deve rinchiudere in una casa sperduta nel Connecticut per poter lavorare senza distrazioni alla sua sceneggiatura. In un videonoleggio incrocia lo sguardo di una pallida e gotica ragazza, Dunja (Josephine de la Baume) austera e affascinante, che porta lunghi abiti di pizzo. Ci vuole pochissimo per farsi tentare… L’idillio appena sbocciato è però turbato dall’arrivo della fetish vampira di latex, Mimi (Roxane Mesquida), sorella di Dunja.

La loro vita cambia e l’agiata esistenza fatta di pettinature complesse, abiti straordinari e ambienti ultra-sofisticati, s’intossica per colpa della – leggermente psicotica- sorella.
Xan Cassavetes (figlia di. Nipote di.) costruisce una storia di donne vampire potenti ma in conflitto tra di loro. Ma non basta. Oltre alle leggere ma fastidiose noncuranze nei confronti delle invarianti che compongono un genere, la storia sembra incastrarsi nel solito triangolo amoroso.
Molto interessante, invece, l’ambientazione e i costumi. Gli interni in cui si gioca parte del film simboleggiano alla perfezione lo status elitario del vampiro, decadente e facoltoso, fastoso e superiore alla media. Pregevoli i costumi, parte migliore del film. La costume designer Audrey Louise Reynolds dà a Dunja un look ‘wicca-tastic,’ con tocchi vittoriani, gonne e strascichi di velluto senape, gorgiere di pizzo, tessuti lussuriosi.
In netto contrasto, anche per far emergere la personalità incontrollabile e spezza-equilibri, Mimi vira verso gli anni ’80. Vernice dalle spalmature glossy, minigonne, spacchi e scollature vertiginose, piume.
Alle sorelle si aggiunge Xenia (interpretata da Anna Mouglalis, che nel mondo di True Blood sarebbe una sorta di sceriffo o un membro dell’Autorità) vestita in maniera teatrale.

Regia: Xan Cassavetes
Sceneggiatura: Xan Cassavetes
Fotografia: Tobias Datum
Montaggio: John Lyons, Taylor Gianotas
Musiche: Steve Hufsteter
Costumi: Audrey Reynolds
Scenografia: Chris Trujillo
Interpreti: Josephine de la Baume (Djuna), Milo Ventimiglia (Paulo), Roxane Mesquida (Mimi), Michael Rapaport (Ben Rider), Anna Mouglalis (Xenia), Riley Keough (Anne), Jonathan Caouette (Anton), Jay Brannan (Hans)
Produttori: Jen Gatien, Alex Orlovsky
Produzione:Deerjen, Verisimilitude
Durata: 97 min.