Venezia 69. Fuori Concorso – Proiezioni Speciali
Chi era Munio? Chi era Munio Gitai Weinraub?
Che lavoro faceva? Come ricordarlo? Come si rievoca il lavoro e il ricordo di un padre?
Si potrebbe definire Lullaby To My Father un documentario biografico-familiare, ma si verrebbe subito ammoniti da Amos Gitai in persona.
Il regista, che ad un certo punto dovrebbe capire che le cose che fa non sono più sue, durante la conferenza stampa, è parso molto stizzito dall’uso di questa etichetta. Ha giustificato il suo malcontento dicendo che i documenti qui usati sono la base per un “processo di liricizzazione” che avvicina il film ai territori di finzione espressiva. Tutto chiaro. Come non abbiamo fatto a pensarci prima.
Da queste (bislacche) premesse ci si rende conto di quanto sia difficile gestire con lucidità i materiali “di famiglia”, i cosiddetti “materiali affettivi”.
Come ogni documentario (ehm, film) sulle peripezie di un proprio caro, i pericoli maggiori si chiamano: patetico o esaltazione.
Memoria, finzione, sentimenti individuali, poesie: Lullaby to My Father tenta l’equilibrio tra tutti questi elementi, ancora di più appesantiti dalla vena e ispirazione lirica del regista (ricordiamo che Amos Gitai aveva già dedicato alla figura del padre un’articolata mostra – con immagini, documenti e installazioni video – che ha fatto il giro del mondo).
Lullaby To My Father vuole porsi, dunque, come mosaico con la voglia di evocare un tempo e un amore passati. Ma il lavoro di recupero dei materiali familiari risulta poco incisivo e poco coinvolgente.
La tecnica, al di là delle pretese autoriali, è delle più semplici: montaggio di immagini fotografiche che si alternano a interviste più inaspettate svolte poetiche.
Le architetture di questa memoria vengono poi spesso sostenute dalle letture delle poesia di Leah Goldberg e da insostenibili sprazzi di lirismo.
Dovremmo essere dinanzi ad una personale geografia, più che biografia; ma sullo sfondo dei ricordi personali, il tentativo di mostrare i legami tra i movimenti storici e politici e il bisogno di sviluppare un’unità di stile, una logica industriale, viene fiaccato da un registro eccessivamente alto e lento.
Il film affronta questioni molto ampie: come il giovane Munio Gitai Weinraub, veicolo di alcuni elementi simbolici che hanno a che fare con la storia del popolo ebraico, è arrivato da Bilitz via Dessau all’atelier dell’ultimo leggendario direttore del Bauhaus, Mies van der Rohe, come ha lavorato all’ultima mostra prima dell’ascesa di Hitler nel 1931, come gli ebrei e i socialisti sono stati cacciati dal Bauhaus, e come Munio decide di giudaizzare il suo nome in Gitai a partire dalla radice gat, torchio e banai, muratore.
Titolo originale: Lullaby to My Father
Nazione: Israele, Francia, Svizzera
Anno: 2012
Genere: Documentario, Drama
Durata: 90′
Regia: Amos Gitai
Cast: Uael Abecassis, Jeanne Moreau, Hanna Schygulla, Keren Gitai, Ben Gitai
Produzione: Agav Films, Hamon Hafakot, Elefant Films, Arte Cinema France, CNC, Rai3, RAbinovich Foundation, Achav Films
Data di uscita: Venezia 2012