“Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini

Sarajevo prima, durante e dopo

Gemma e Pietro partono per Sarajevo per visitare una mostra in cui sono esposte le foto di Diego, il marito di Gemma morto a Dubrovnik senza mai conoscere il figlio. Ma la mostra non è che un pretesto per un viaggio doloroso e catartico nel passato.

Il percorso ha inizio nella Sarajevo frenetica di preparativi per le olimpiadi invernali dell’84, dove la giovane Gemma, che ancora puzza di libri e onestà, si reca per la tesi di laurea. E’ lì che conosce Diego e poi sarà ancora nella Sarajevo assediata del ’92 che tra granate e cecchini nascerà Pietro e infine nella Sarajevo di oggi che gli eventi assumeranno un senso e la storia si svelerà tra morte e resurrezione.
Non ci si lasci ingannare dalla prima parte del romanzo, dove qualche eco mocciana, unita a metafore fin troppo ricercate lascia un po’ perplessi. Il clima idillico sfuma subito ed erompono i veri temi dell’opera nel più puro stile mazzantiniano: la maternità negata e la guerra, un dramma personale intrecciato con il dramma storico di un popolo.

Un romanzo coraggioso e insolito, scritto con lo stile duro e un po’ maschile della Mazzantini, che questa volta si confronta con un’opera di largo respiro. Nonostante le si addica di più la misura medio-breve, proprio per l’intensità costante della sua prosa che costringe il lettore in tensione per oltre 500 pagine, l’autrice si riconferma una straordinaria “scrutatrice di fondali” che riesce a trasformare in poesia tutto ciò su cui posa lo sguardo. E la poesia non si spiega perché “se raggiunge il posto giusto la senti, ti gratta dentro”.
Il romanzo è una riflessione amara sulla vita, sul destino ineluttabile e ironico, che si beffa di noi, sull’odio che si allarga come un buco in una tasca, sulla guerra che rende bestie anche i poeti, sul sarcasmo cinico che difende dal dolore e dalla morte, sulla poesia e l’arte che leniscono le ferite, sull’indifferenza che rende tutto uguale, vita e morte, silenzio e movimento.

Le vicende si svolgono alternativamente tra Italia e Bosnia, contrapponendo l’occidente di pace sporca, di “culi lisci e aperitivi”, un mondo molle ma confortante ad un popolo povero e dilaniato, martire e sbruffone, un popolo deprimente, borioso e ridicolo, con “le donne troppo truccate o troppo scolorite e gli uomini che puzzano di cipolla, di grappa, di piedi che sudano dentro scarpe scadenti”. E ciò che più lascia sgomenti è la vicinanza di questa guerra etnica lacerante, che si è svolta a poche miglia da noi, dall’altra parte del mare e che noi, dalla nostra mollezza, abbiamo visto in poltrona ogni sera in televisione.
La Mazzantini riesce ad immedesimarsi con verità negli eventi che narra, sempre rimanendo in bilico tra coraggio e paura, perché in fondo “tutto ciò che ami ti fa soffrire, è una regola…”. E il dolore, dopo tanta vita e tanta fatica, diventa stanco, paziente, non urla più, ma goccia lacrime rassegnate. La vita è un continuo camminare, lontano da se stessi e poi di nuovo verso se stessi per ritrovarsi e poi perdersi ancora e perdere il senso della vita senza capire come sia potuto accadere.

Alla fine la speranza vince, il male si riscatta e, se è vero che un angelo può trasformarsi in diavolo, è vero anche che “un diavolo può tornare angelo, anche il percorso contrario è possibile e questo è l’insegnamento”.
Hvala, Margaret, grazie.

Margaret Mazzantini, Venuto al mondo, Mondadori, 2008, pp. 529, € 20,00.