Il luogo è palazzo Franchetti, abbracciato dal Canal Grande, immerso nella quiete dei suoi soffitti alti, del suo giardino ben curato. L’artista è Zoran Music, nato a Gorizia, orfano di Dalmazia, profugo in Stiria, deportato del campo di sterminio di Dachau e veneziano d’adozione: costantemente in transito, per forza o per scelta; tormentato dai ricordi, assolutamente intenzionato a non dimenticare. Protagonista è l’urlo di una pittura senza mediazione, priva di imbellettamenti e suadenti richiami, scarna, cruda, talvolta scomoda, a tratti impietosa. Perchè Music all’occhio non concede nulla, dipinge solo la verità; non cede alle lusinghe dell’apparenza, non distrae offrendo in saldo piacere estetico.
All’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia celebra il centenario della nascita dell’artista attraverso una retrospettiva curata con intelligenza e lirismo da Giovanna Dal Bon, che già si era occupata del pittore con un saggio sul Doppio ritratto, a cui è dedicata anche una sezione della mostra. Allo stesso modo il percorso espositivo si sviluppa per nuclei tematici, fornendoci una panoramica di tele e disegni relativi agli ultimi trent’anni della carriera dell’artista: dalle nostalgiche rievocazioni degli aridi paesaggi dalmati degli anni ’30 e ’40 all’inevitabile “ritorno a Dachau” degli anni ’70 si procede in un confondersi di memorie personali, suggestioni bizantine, stravolgimenti formali di baconiana memoria.
Ma Music, pittore di nostalgiche evocazioni, è anche portavoce di strazianti invocazioni d’aiuto: accanto ai paesaggi e al volto della moglie Ida, ritratta quasi ossessivamente, ritroviamo le orbite imploranti rivolte verso il cielo che tanto l’avevano colpito nei mesi di prigionia; corpi dalle membra scarne, aggrovigliate nella polvere, curiosamente simili ai rami degli alberi, ci inchiodano al pavimento nella serie di opere dedicata a tenere in vita la memoria dell’Olocausto, significativamente intitolata: Noi non siamo gli ultimi. Che sia un viandante, un filosofo o un ostaggio, nel lavoro di Music la figura umana è sempre inguaribilmente sola, straziata; lo spazio la limita e la opprime, i lineamenti si annullano in una maschera impenetrabile di gelide pennellate bianche. La gamma cromatica è fatta di polvere, le superfici sono scabre, il carboncino dato a tratti nervosi si sbriciola sulla tela grezza. Le vedute di Venezia, città tanto amata dal pittore e che tanto l’ha ricambiato, sono nebulose, evanescenti; affiorano debolmente alla vista costruite con gli ocra, i marroni, i grigi. Spogliati di ogni romanticismo, luoghi noti si offrono alla vista rimasticati, filtrati dalla personale sensibilità dell’artista, e sono carichi di ricordi, sensazioni, affetto.
E’ silenzioso palazzo Franchetti, ha i soffitti alti e la tranquillità di chi ha solide fondamenta piantate nel terreno. E ironicamente Music, che voleva essere ricordato come una leggera brezza, resta impresso nella mente come una coltellata.
3 Dicembre 2009 – 7 Marzo 2010
Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Palazzo Franchetti, Campo Santo Stefano 2945 Venezia
TUTTI I GIORNI 10.00>18.00 – (la biglietteria chiude alle ore 17.30)