Zorro è un barbone, un senzatetto, un emarginato dalla società che vive di vino e cipolle. Zorro è un cane fedele che ha accompagnato il suo padrone fino a quando la vita glielo ha permesso.
Zorro prende parola e racconta La Storia, la storia di come un uomo possa essere spogliato e spogliarsi della propria identità, e di come “Zorro non pretende. Zorro non tende la mano, Zorro ha i pugni chiusi. Zorro ha fatto una scelta. Certo, il destino gli ha dato una mano..”
Nato come testo teatrale destinato a Sergio Castellitto, cui il testo è dedicato, questa partitura sfuma nel romanzo. Un uomo del quotidiano dell’autrice viene scelto per narrare di sé, per dar voce alla propria vita. Zorro prende parola, da un palco racconta la propria vita, attraverso l’ orgoglio e la dignità di chi non chiede redenzione.
Attraverso la sua rabbia torniamo alla sua infanzia, al suo primo cane, all’amico-nemico che lo priverà della compagnia a quattro zampe, fino ad arrivare alla causa della propria rovina, della perdita della propria identità di uomo, e dell’ esilio dal mondo dei “Cormorani”, degli uomini “perbene”.
“Certe volte si dice che il mondo casca addosso. Si dice tanto per dire. Ma invece è vero”.
Pungente e diretto Zorro, con un logoro guinzaglio al collo, percorre le strade osservando, studiando, ricordando, e costruendo un lungo monologo che vuole aprire gli occhi al lettore su una realtà reclusa nel buio antro della coscienza.
Ed è proprio quel guinzaglio a rappresentare il destino, l’ artefice della fine di un uomo, un guinzaglio come un “nodo all’anima”, una nera fune che soffoca la vita e la sua dignità.
Il racconto prosegue, attraverso le stanze della mensa dei poveri, momenti di languide occhiate alle donne del volontariato, del ricordo della donna amata, raccontando e raccontandosi e costruendo come un puzzle il protagonista.
La tecnica narrativa scelta è il monologo: dopo una breve introduzione, l’autrice lascia la parola a lui, a Zorro, che racconta la propria storia in prima persona, con un linguaggio rude e violento, con la voce della rabbia, del risentimento di chi è stato investito da un destino non voluto.
Il romanzo apre uno spiraglio di luce su un mondo cui chiudiamo la porta in faccia, sull’umanità che si cela dietro un esiliato, una vittima del destino. Attraverso un linguaggio concreto ed esplicito, l’autrice lancia una critica verso una società di stereotipi, di rifiuti, e accende la luce della possibilità di una vita “diversa”, guarda all’ombra di una somiglianza, “perché gli artisti, spesso e volentieri, sono barboni fortunati.
Ce l’hanno fatta a non finire all’addiaccio, ma conservano i tratti disturbati e l’inquietudine dell’erranza, vagano con gli occhi, sentenziano sul mondo, hanno ossessioni, riti. Ogni giorno corrono il rischio di perdersi, di non trovare più la strada del ritorno”.
Margaret Mazzantini, figlia dello scrittore Carlo Mazzantini e di una pittrice irlandese, è nata il 27 ottobre del 1961 a Dublino (Irlanda). Vive a Roma col marito Sergio Castellitto, con cui ha scritto e diretto numerose opere teatrali, tra cui Zorro. Il romanzo più noto è Non ti muovere (2001), che le ha regalato il Premio Strega. Zorro è stato pubblicato da Mondadori nel 2004.
Margaret Mazzantini, Zorro. Un eremita sul marciapiede, Oscar Mondatori, 2004, pp. 66, euro 6.50.