Orizzonti è invero una sezione a cui prestare attenzione per la ricchezza che si porta appresso, seppur nascosta. Ognuna delle sale più piccole lungo la laguna prima o poi ospiterà un film intrigante. Anons forse non rientra appieno nella categoria, trattandosi di un’opera riuscita soltanto in parte, ma ha sicuramente una certa carica ringiovanente, per quanto riguarda il cinema dell’Europa del Sud.
Sulla falsariga di pellicole come il grande Vogliamo i colonnelli di Monicelli, Anons è una commedia satirica sulla delicata situazione politica turca, capace di palesarne contraddizioni e assurdità senza mai davvero convincere come film. Se oramai appare chiaro che è stata aperta una sorta di corsia preferenziale per questo genere particolare nelle sezioni competitive della 75esima Mostra, non si può dire che Anons si distenda sugli standard codificati da “cugini” come The favourite o aKasha. L’elemento polemico rimane il passato turco e la civiltà che ne è emersa, aprendo di fatto a un conflitto tra organi militari e organi civili non più in grado di relazionarsi fra loro, entrambi inadatti a svolgere la loro funzione in un contesto del genere, mentre l’espediente che dovrebbe dare il via al processo dissacratorio è il tentativo di golpe militare avvenuto nella notte del 22 maggio ’63. Mentre il grosso della organizzazione congiurata cerca di prendere il potere ad Ankara, una singola squadra (i nostri protagonisti) devia verso Istanbul per prendere il controllo delle emittenti radiofoniche nazionali e badare alla parte comunicativa, considerata quasi più importante dei quella fattuale.
Una commedia riuscita a metà, si diceva, perché tiene il piede in due scarpe, non c’è altro modo di identificare altrettanto rapidamente Anons. Lo sguardo di Coşkun non è mai soggettivo, anzi, la sua obiettività filtra anche attraverso le maglie della sua impostazione registica, camera fissa rigorosamente immobile che mal si adatta alla sua messa in scena con velleità dinamiche, non riuscendo mai ad accompagnare con successo la narrazione. Si respira certamente un’area di assurdità, ma mai di grottesco, come la satira non ha modo di rivelarsi graffiante. Di Monicelli, citato in sede solo per similitudini nell’aspetto dell’intreccio, Coşkun non fa suo alcun elemento, purtroppo, adagiandosi nella illustrazioni di situazioni folli ma sempre controllate, sopprimendo alla nascita la possibilità di rivelarsi incisivo, nei dialoghi e nei riferimenti, con il suo lavoro.
Il giovane regista dell’Anatolia nemmeno è schierato, a dire il vero, saltella su e giù da un ramo all’altro, azione in teoria giusta quando si è critici verso un determinato sistema, ma Anons non è bilanciato nel suo rivolgersi, una dopo l’altra, a ciascuna delle parti, piuttosto è a parte, conservando quell’aspirazione utopica di riuscire a separare il punto di vista interno sulla vicenda dalla vicenda stessa. Il film ha un’impostazione debole, si tratta di un’opera modesta nella sua natura che comunque, nonostante anche qualche spunto azzeccato, non può fare a meno di accasciarsi, collassando su se stesso, nella seconda metà, finendo così per non poter più nascondere il difetto principe di ogni commedia: Anons non fa ridere, anzi, nonostante si articoli sullo schema della commedia, non ha nemmeno intenzione di far ridere, usando l’elemento comico non per meglio formalizzare un’accusa, una critica, ma per velarla, come a non volersi prendere sul serio, a eclissarsi.
D’altro canto Coşkun si diverte (solo lui, però) a giocare con gli spazi e i testi tecnici, trasformando la stazione radio in un labirinto più o meno tragicomico la cui complessità viene di volta in volta arricchita dai problemi di comunicazione interna tra i militari in questione. La loro freddezza, la loro cieca convinzione, e infine anche la loro inettitudine salvano l’esito finale, producendosi in qualche gag che continua a risucchiare l’attenzione dello spettatore; il problema è che queste – e più in generale, tutti i momenti d’ilarità meno malriusciti – non appartengono mai al lato satirico della composizione della commedia, ma consistono in quei momenti di stacco, di allentamento della tensione. Anons è un film che non si sa esprimere, non coglie definitivamente quelle chiavi tematiche che lambisce senza mai osare, e vanta smanie d’attualizzazione quando forse non è semplicemente così carico di coraggiosa autorialità come invece si presenta nei minuti iniziali.