Antonella Attili: “Un attore senza artificio non esiste”

Un esordio da Premio Oscar con “Nuovo Cinema Paradiso” passando per “Il Paziente Inglese” e Pupi Avati, Ettore Scola, Margarethe von Trotta. Un’interprete che ama reinventarsi ogni volta

Nei primi anni del ‘900 il grande maestro russo Stanislavskij elabora il “metodo”. Il frutto dei suoi studi furono raccolti nei volumi il lavoro dell’attore su se stesso e il lavoro dell’attore sul personaggio, fari imprescindibili nella formazione di tanti attori. Il concetto di immedesimazione, alla base del metodo era completamente opposto a quello di straniamento proposto da un altro grande maestro: Bertolt Brecht.

Qualunque essa sia, la tecnica è fondamentale per questo mestiere, che Gassman definiva “una specie di schizofrenia”. E quando c’è preparazione, la linea di confine tra attore e personaggio scompare. È, sicuramente il caso dell’attrice Antonella Attili.

Un attore che non si trasforma non è un attore” sostiene l’attrice che, con garbo e competenza ha portato in scena personaggi con cifre sempre diverse, a partire dall’aspetto linguistico. Interpreta perfettamente i dialetti. Lei che è romana, è stata la madre del “Libanese” nella serie “Romanzo criminale”, ma la scambieremmo per pugliese dopo aver visto “La cena di natale” di Marco Ponti. Nell’immaginario collettivo è la mamma di Totò, nel suo esordio, da Oscar, in “Nuovo Cinema Paradiso”. E con un grande salto temporale in Paradiso ci ritorna (ne Il Paradiso delle Signore, fiction di Rai 1) dove riconferma la sua bravura col dialetto siciliano, dando voce e corpo ad Agnese Amato, una donna del sud, madre di tre figli.

È un attrice intensa, la Attili, con un viso antico che esprime autenticità, non a caso è stata scelta da grandi registi: da Tornatore (con cui ha lavorato tre volte) a Anthony Minghella che la chiama per un piccolo ruolo nel “Il Paziente Inglese“;  da Pupi Avati a Ettore Scola e ancora Margarethe von Trotta, Fatih Akin, Stefano Sollima, Antonello Grimaldi.

Spesso sullo schermo è una madre ma, ad ognuna, ha impresso sfumature differenti, un’emotività sempre nuova. “L’attore non deve portare se stesso in scena ma deve interpretare un ruolo e la naturalezza deve essere il massimo dell’artificio. Un attore senza artificio non esiste” – ha dichiarato.

La recitazione per Orson Wells è come la scultura: “si tratta di eliminare il superfluo per far emergere la verità”. E la verità la ritroviamo nelle personalità che la Attili, porta in scena, nelle parole, nelle movenze del corpo. Un amore grande per il cinema e il teatro che la porta a dichiarare: “La scuola dovrebbe formare gli spettatori del futuro. Il teatro e il cinema dovrebbero far parte del piano studi con un programma nazionale in grado di dare spazio alla cultura di cui questo Paese dovrebbe andare fiero”. Quella immensa Cultura che ci ha reso grandi nel mondo.