Sabrina Zuccato nel suo romanzo d’esordio , “Apolide” (Montag, Tolentino, p.88 euro 14,00) dà un taglio inequivocabilmente generazionale e di genere alla vicenda costruita intorno alla figura di Elsa, una giovane donna la cui infanzia e adolescenza sono state fortemente segnate dall’assenza della figura paterna. Da qui inevitabilmente il complesso rapporto costruito nel tempo con la madre, una presenza per certi versi ingombrante, per altri “salvifica” di fronte ai traumatici eventi che la giovane si trova a vivere. L’autrice, giornalista e reporter, è attenta alle vicende dei suoi coetanei, ha raccolto nel tempo interessanti materiali sulle difficoltà che incontrano i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro per la precarietà da cui nella nostra società sono sempre più caratterizzati questi rapporti. Nel romanzo la questione lavorativa rimane sullo sfondo, anche se il lavoro svolto da Elsa può dirsi un ripiego ben lontano dalla realizzazione professionale rispetto agli studi compiuti: nella prima parte è una burrascosa “educazione sentimentale”, il faticoso percorso descritto attraverso gli alti e bassi della relazione con Vittorio, nella seconda viene analizzato in maniera incisiva lo schiudersi di una nuova prospettiva di vita, la maternità e il suo crudele  deflagrare, nella terza Elsa ritrova in se stessa le forze e il coraggio per abbracciare nuove strade. Zuccato racconta la vita di Elsa, ma ci fa soprattutto partecipi dei modi e tempi in cui la giovane comincia a prendere, talora confusamente, consapevolezza di sé e delle sfaccettate personalità di più interlocutori che hanno un rilevante peso nel suo rapportarsi alla vita. Forse potrà cominciare a intendere quale sia il suo posto in un mondo non sempre piacevole.