Per la prima volta, dopo ventun edizioni, il festival Primavera dei Teatri – organizzato come sempre da Scena Verticale e spostato all’autunno come nel 2020 – ha avuto due diverse sedi. A quella tradizionale di Castrovillari sono state infatti anticipate tre intense giornate a Catanzaro. Nel luogo originario, ai piedi del Pollino, si è articolata invece un’intera settimana di spettacoli, laboratori, incontri e presentazioni di libri.
Per quanto riguarda i primi, estremamente suggestivo è stato il breve studio realizzato da Saverio La Ruina sul quinto canto dell’Inferno. L’autore-attore-regista ha letto i versi di Dante con il suo ormai inconfondibile stile piano e accattivante, mentre Cecilia Foti, cantante e performer, oltre che attrice anche lei, contrappuntava la recitazione con le sue potenti ‘incursioni canore’, che partivano da una vecchia (2003) e struggente canzone di Giuni Russo, Morirò d’amore, ‘trasportata’ e trasformata dall’abilità vocale dell’interprete. Un doppio binario, quello della lettura e del canto, che si è rivelato efficacissimo,e al quale si è aggiunto un terzo, suggestivo elemento cinematografico: un video girato dallo stesso La Ruina insieme ad Antonio Romagnoli che riproduce in modo inconsueto, immaginifico e e non narrativo le atmosfere del brano, ambientandole nelle zone in cui l’artista lucano-calabrese ha vissuto la sua infanzia. Forte la presenza, nel filmato, della natura, anche sotto forma di due splendidi cani che corrono per le montagne, a simboleggiare, si immagina, Paolo e Francesca: La Ruina racconta che lo spunto di quest’intrusione del mondo animale gli è nata analizzando in particolare una terzina del canto, dove è spiegato il peccato che in quel luogo viene punito, la lussuria: «Intesi ch’a così fatto tormento / enno dannati i peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento». Un affresco dantesco di grande delicatezza e poesia, che contava anche sullo ‘sguardo esterno’ di Dario De Luca.
Tra le cose migliori viste a Prmavera dei Teatri si colloca una performance itinerante, Real Heroes, scritta e diretta da Mauro Lamanna e Aguilera Justiniano e reduce da una lunga e fortunata tournée internazionale. Attraversando per più di un’ora i vicoli, le strade e le piazze di Castrovillari, si entra all’interno di due storie solo apparentemente distanti. La prima, evocata da immagini attaccate ai muri della cittadina, conduce al Cile di Pinochet e alle atrocità commesse in quel Paese: protagonista è un padre, Sebastian, cui la polizia segreta strappa i due figli: per riaverne almeno uno dovrà bruciarsi sulla pubblica piazza. La seconda vicenda ci riconduce alla Calabria contemporanea, oppressa dal pizzo dell”ndrangheta e dall’inevitabile, mortifero strozzinaggio che ne consegue. Anche qui, a narrare in prima persona è un padre cinefilo, Gianluca, che nell’arco di poco tempo si ritrova disperato e senza nulla, né l’attività di videonoleggio che con entusiasmo aveva avviato né la moglie che l’ha abbandonato ignara di quanto gli stava cadendo addosso. Gli resta soltanto un figlio piccolo con cui andare al cinema una volta alla settimana. Queste due storie e questi due padri risultano sorprendentemente molto simili, sono racconti di violenza e ingiustizia, uno proiettato nella dimensione pubblica e politica, l’altro nell’altrettanto dolente sfera privata. Il filo che li unisce è dato dalla forma di questo spettacolo-processione tecnologico, nel quale un numero fisso di spettatori è condotto, grazie alla straordinaria narrazione di Mauro Lamanna che si sente in cuffia, in mondi lontani che pure si percepiscono, nel camminare e sostare per un’ora, estremamente intimi e vicini. Nessuna retorica, soltanto una voce che parla a tratti con partecipazione, altri con ironia. Tratto specifico di questo lavoro è la costruzione ad hoc del percorso in ogni parte del mondo esso venga montato, approfittando e utilizzando al meglio le caratteristiche del luogo. Il finale è affidato alla realtà virtuale, che immerge chi guarda in un nostalgico tuffo verso i momenti di vita felice perduti.