Arlecchino e l’anello magico

Dopo Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, l’estate veneziana del Teatro Goldoni offre a cittadini e turisti Arlecchino e l’anello magico, uno dei trentasei canovacci scritti da Goldoni per la Comédie-Italienne tra il 1761 e il 1775. In questi scenari l’elemento magico viene impiegato in maniera diversa a seconda che l’autore voglia creare effetti spettacolari, come da tradizione della Comédie, o più intrinsechi di cambiamento interiore. Ne La bague magique, così come ne Le bon et le mauvais génie, la magia scardina i confini spazio-temporali in cui è perimetrata la vicenda e agisce sulla dimensione psichica dei personaggi.

Rappresentata a luglio del 1770, la Bague magique ci è giunta nella forma manoscritta allografa conservata alla Bibliothèque nationale de France, frutto di due mani assai diverse, con dialoghi in italiano, veneziano e francese. Arlecchino, qui formaggiaio, abbandona Bergamo per togliersi la vita nella solitudine di un bosco, convinto che la moglie Argentina lo tradisca. Un santone gli propone un anello magico che gli farà dimenticare ogni sfortuna e innamorarsi proprio di Argentina. Tra equivoci, creditori e fraintendimenti, Arlecchino verrà dichiarato pazzo, bastonato e bastonante, sino al colpo di scena finale.

Anello fatato o stregato?

Marco Zoppello apporta alcune necessarie modifiche alla distribuzione dei personaggi e all’economia del testo, ma la sostanza dell’azione rimane sostanzialmente chiara e ben sviluppata. Fondamentale per Zoppello è inserire sempre qualche canzonetta popolare, accompagnata dalla fisarmonica o dalla chitarra, e creare un mix di dialetti dall’effetto straniante. Il ritmo voluto dal regista è gestito con professionalità dall’affiatata compagnia, eppure manca un po’ di spazio per l’improvvisazione, elemento fondamentale della commedia dell’arte. Le scene di Alberto Nonnato, simili a quelle del precedente spettacolo, i costumi di Lauretta Salvagni e le luci di Paolo Pollo Rodighiero contraddistinguono ormai l’inconfondibile marchio di fabbrica della fucina Zoppello&Co.

Per ovvie ragioni i sedici interpreti previsti dallo scenario diventano sei. Stefano Rota veste i panni di un Arlecchino maturo, scaltro nel parlare, riflessivo, disincantato sotto l’effetto dell’anello, fatato o stregato a seconda di come ne sia percepito il potere. Le fattezze ricordano il cane carlino, che pare prenda il nome proprio dall’attore Carlo Bertinazzi detto carlin per via della maschera impiegata nel suo Arlecchino.

Gli altri attori fanno parte della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto, un gruppo di professionisti promettenti. Pantalone diventa Amelia De Bisognosi, la bravissima Meredith Airò Farulla. Il servo di Celio, Scapino, maschera derivata da Brighella, si trasforma qui in Trappola, un classico gobbo napoletano che trova in Pierdomenico Simone l’interprete perfetto. Davide Falbo alterna egregiamente il doppio ruolo di mago e Gendarme, un sergente Garcia d’indubbia comicità. Il garzone dell’osteria è sostituito dalla romanaccia Fernanda, quasi più orchessa che ostessa, resa burina al punto giusto dall’arcigna Lorenza Lombardi. Argentina è la fumosa Eleonora Marchiori, a tratti eccessiva, mentre a Marlon Zighi Orbi spetta il ruolo dell’amoroso Celio, innamorato di Rosaura.

Successo di pubblico alla replica del 27 agosto 2019. Si replica dall’8 al 10 ottobre 2019.

Luca Benvenuti