Arturo Cirillo, magnifico Cyrano

Quella di Cyrano de Bergerac è una parabola d’amore e morte divenuta quasi paradigmatica: inventata da Edmond Rostand nel 1897 ispirandosi al personaggio storico di Savinien Cyrano de Bergerac – scrittore, poeta e drammaturgo fantasioso e libertino – ha appassionato schiere di interpreti e registi. La celebre vicenda del poeta/spadaccino, infallibile in entrambe le specialità e spinto a causa dell’abnorme grandezza del suo naso a nascondersi dietro l’amico Cristiano, bello ma piuttosto inabile all’arte, per vivere il suo amore impossibile nei confronti della bellissima (e sensibile) cugina Rossana continua a commuovere artisti e spettatori.

Questa è la volta di un regista/attore navigato e raffinato come Arturo Cirillo: al suo lungo curriculum, che spazia con estrema naturalezza dal contemporaneo all’antico, con una predilezione particolare per Molière, si aggiunge ora un’altra importante tessera.

Ma il teatro di Cirillo presenta sempre una cifra personale e distintiva, e questo Cyrano prosegue nella medesima direzione, regalandoci uno spettacolo di rara bellezza, che coinvolge il pubblico di ogni età. Ci informa lui stesso che ha preso le mosse, nell’immaginare l’allestimento, da un musical visto trentacinque anni prima allo storico Teatro Politeama di Napoli con le musiche di Domenico Modugno. Questo ricordo di ragazzino è dunque il punto di partenza di una messinscena che potremmo forse definire di teatro-canzone, dove la musica e il ballo si alternano alla parola: alla rielaborazione di alcuni di quei brani da parte di Federico Odling se ne sommano altri composti dallo stesso musicista ex novo e suggestioni inedite che vanno da Edith Piaf a Fiorenzo Carpi, all’insegna di una riuscita contaminazione.

Una specie di successione di ‘numeri’, che evoca in qualche modo anche la rivista e che serve a raccontare, grazie anche al grande praticabile circolare della scena di Dario Gessati, tutti i punti salienti di questa storia affascinante e dolorosa. Cirillo, nei panni del protagonista, accentua il suo lato poetico e visionario, tenendo invece più in ombra quella del fioretto e del duello. Ma la contaminazione prosegue nell’intrecciare alla pièce di Rostand elementi evidentemente riferibili a un’altra storia emblematica, quella di Pinocchio (anche se filtrata attraverso la lettura che ne dà Gianni Rodari, dice ancora il regista). Questa sovrapposizione si ripercuote pure nella figura di Rossana, che spesso assume le fattezze della Fata Turchina (i costumi sono di Gianluca Falaschi). Ne nascono due ore di grande teatro, condotte con sapienza e poesia insieme agli altri bravissimi e cangianti interpreti (Irene Ciani, Giacomo Vigentini, Francesco Petruzzelli, Rosario Giglio, Giulia Trippetta).