Regia Michal Vinik – Israele, 2015, DCP, 84′, col; con: Reut Akkerman, Dvir Benedek,
Come accade per i Cesaroni, o per i più noti Addams o per tanti altri, il titolo del film, Barash, è il cognome della famiglia della quale si parla. Israeliani, ebrei, i cinque componenti, i due genitori, la figlia 17enne Naama, la 17enne Liora e un ragazzo poco più giovane, sembrano avere in comune tra loro proprio solo il cognome.
Naama è il personaggio conduttore della storia: scolara non proprio modello preferisce bighellonare con le compagne, quasi tutte con zainetto a stelle e strisce. La sua preferita è però Dana, nuova, biondissima, affascinante e misteriosa . Punto di ritrovo è un gigantesco, emblematico affresco di Mosè che separa le acque e da lì, via, nella vicina Tel Aviv , marinando le lezioni e la celebrazione dell’indipendenza, per cercare alcol e sballo.
Liora, impiegata in una base militare, di tanto in tanto sparisce per qualche giorno, gettando dell’angoscia i genitori che prontamente accusano gli arabi di averla rapita o, nella migliore delle ipotesi, di averla sedotta. Il padre Gedeon, ex militare e mutilato di guerra, con un berretto anche quello a stelle strisce, cerca di inculcare nei figli interesse per i valori del Paese ma è patetico se non addirittura (e volutamente) comico, con il suo patriottismo a comando (nasconde la stella di Davide penzolante dallo specchietto appena la macchina entra nei territori occupati) e la sua caparbia avversione per gli arabi (non accetta che il capo della polizia di un villaggio possa essere arabo e non ebreo; e così via).
Al primo rapporto della travolgente relazione con Dana, Naama scoppia irrefrenabilmente a ridere: “ È la prima volta”, spiega, mentre l’altra, seria, non sembra capire e, poi, giustifica un tradimento: “Ci sono tante ragazze alle quali dobbiamo far vedere la luce. È nostro dovere, è importante”.
Ma nel caos di avvenimenti e valori, che è anche un po’ il caos del film, l’attrazione verso Dana parrebbe essere non tanto manifestazione di reale omosessualità, ma sintomo di altro, di un bisogno di sicurezza e di serenità, riflesso indotto dalla difficoltà di avere rapporti sereni con il prossimo in un Paese dilaniato da molte più fobie che certezze.
Un film sui giovani inquieti alla ricerca di nuovi valori, dal ritmo stemperato da tanta bella musica pop e dove persino del razzismo si ride, apposta per ridurre le tensioni. Valido esordio della regista nel lungometraggio e convincente prova delle protagoniste.