Il 75° Festival del cinema di Berlino inaugura festeggiando i suoi tre quarti di secolo. A ben guardare resiste né più né meno che come il nostrano e canoro Festival di Sanremo, che si svolge dal 1951 più o meno nello stesso periodo di febbraio.
Tuttavia, a parte il fatto che in un caso si tratta di film e nell’altro di canzoni, alcune differenze ci sono e non sono di poco conto. Intanto il clima: la Berlinale si è iniziata sotto una fitta nevicata che ha dato un tono davvero natalizio alle infinite luci che adornano gli spazi urbani dedicati al festival.
Poi gli spazi: la rassegna cinematografica occupa ben 44 sedi, tra cinema, teatri e centri culturali. Insomma una presenza pervasiva, dove in moltissimi casi le sale sono già tutte occupate vari giorni prima dell’evento.
Un’altra cosa che si nota è l’assenza film italiani in concorso. Per la verità, un paio di cose ci sarebbero: “La Tour de Glace”, della regista francese Lucile Hadžihalilović è sì una coproduzione franco-tedesca, ma è stato sostenuto dal Fondo italiano della film Commission Südtirol– Alto Adige. “Italia” c’è scritto anche nell’elenco dei Paesi produttori (gli altri sono Belgio, Lussemburgo e Francia) di “Reflet dans un diamant mort” di Hélène Cattet e Bruno Forzani. E non c’è nemmeno più il direttore torinese Carlo Chatrian, che dopo cinque anni di onorato servizio è stato rimpiazzato (sia lui, sia la co- direttrice Mariëtte Rissenbeek) dalla statunitense Tricia Tuttle, 55 anni, n arrivo dalla direzione del London Film Festival.
Eppure di italiano c’è qualcosa e per di più campeggia su tutti i manifesti: sono gli sponsor: Armani Beauty, che è tra i principali con Cupra (per chi non lo sapesse, produce auto elettirche e ibride, è un ramo catalano del gruppo Volkswagen) e Mastercard. Tra i co-sponsor c’è Campari, con il suo sontuoso e generoso angolo di aperitivi. Se qualcuno volesse ancora approfondire di italiano ci sarebbe il “quartier generale” della Berlinale, con il grande teatro sulla Potsdamer Platz, creato dall’architetto italiano Renzo Piano. Per chi non lo sapesse, è fatto con la stessa tecnica e stile già collaudata con successi anni prima per il grande Auditorium del Lingotto a Torino.
A dominare la serata inaugurale, elegantemente condotta dalla classe dell’attrice italo – lussemburghese Désirée Nosbusch (anche lei dinque un po’ italiana, per parte di mamma), non è stato però un film bensì Tilda Swinton, che ha ricevuto l’orso d’Oro alla carriera. Una onorificenza che la grande attrice britannica, 64 anni, ha coronato con un discorso appassionato, profondo, coraggioso e molto politico, che i media tedeschi, in piena campagna elettorale, hanno passato un po’ sotto silenzio, vista l’aria “destra” che tira, tragicamente alimentata dall’attentato a Monaco, occorso proprio il giorno prima. Ha parlato del “grande Stato indipendente del cinema” dove “Non è richiesto visto né indirizzo”. Riguardo ad alcuni Governi, che però non ha citato, ha detto “Azioni disumane vengono perpetrate sotto i nostri occhi. Sono qui per dare ad esse un nome e per prestare la mia incrollabile solidarietà a tutti coloro che le riconoscono. Gli omicidi di massa perpetrati da alcuni Stati e consentiti a livello internazionale stanno attualmente terrorizzando attivamente più di una parte del nostro mondo.” Lo “stato” del cinema, come lo descrive Swinton, è “un regno illimitato, intrinsecamente inclusivo, immune agli sforzi di occupazione, colonizzazione, proprietà o allo sviluppo di una Riviera property”
Dopo parole di questo livello, il film inaugurale, Das Licht (La luce), girato proprio a Berlino dal regista tedesco Tom Tykwer, ancorché fornito di un certo intento umanitario, non è riuscito a “illuminare” cuori e menti.