Trai film di apertura del concorso ufficiale del Bergamo Film Meeting 2021 c’è una piccola e gentile fiaba che viene dalla Grecia, capace di attirare l’attenzione per il suo stile composto e delicato: Raftis, opera prima di Sonia Liza Kenterman.

Primi anni ’10 di questo secolo, la Grecia è in uno dei momenti più duri della crisi economica iniziata nello scorso decennio. Nikos è un sarto di mezza età che vive alla giornata, lavorando assieme al padre – recentemente scopertosi gravemente malato – in una sartoria che sta per essere pignorata dalla banche. Per la prima volta in vita sua deve prendere l’iniziativa, fare qualcosa per uscire dalla situazione paludosa nella quale è venuto a trovarsi. La sua sgangherata idea è quella di diventare un semi-ambulante, montando il suo negozio su un carretto e andando avanti e indietro per le strade delle periferia ateniese. Dopo una complessa e transitoria fase iniziale, riuscirà a trovare il suo posto nel mondo specializzandosi nel confezionamento di abiti da sposa.

Nikos è un personaggio senza caratteristiche evidenti, il classico tipo che passa inosservato dappertutto, fatta eccezione per il fatto che non si trova a suo agio in nessun luogo, sembra sempre un po’ fuori posto, ovunque tranne che nella sua piccola sartoria, angusta e scarsamente illuminata. È apatico e passivo. Ma la situazione economica lo chiama a ridestarsi da questo bizzarro torpore. Lui, a metà fra Mr. Bean e lo scrivano Bartleby, deve riscoprirsi piccolo imprenditore di rigida etica lavorativa.

Raftis è un film fatto di buone intenzioni. Tutto, nella sua realizzazione, è dolce e smussato. La povertà e le difficoltà economiche appaiono più come un curioso fatto folklorico, l’immobilismo atavico di Nikos lo fa sembrare un marziano che arriva sulla terra, e sviluppare l’intreccio di un film su un personaggio monodimensionale non aiuta a farsi prendere sul serio. Ma Raftis, nonostante queste premesse, è più una commedia dal retrogusto appena amarognolo che un dramma spruzzato di malinconia come ci fa presumere la sua premessa. Rapidamente cambia tono, si mitiga e introduce piccoli elementi che vanno a comporre un quadro abbastanza pieno: in primis un love interest sotto la forma di una pugnace russa con tanto di giovane figlia che fa intuire immediatamente il fantasma futuro di una vita familiare per il nostro, e poi una serie di personaggi di contesto che andranno a riempire la vita del nostro con le loro buffe abitudini. Il film vive delle vicissitudini quotidiane di questa nuova collettività con la quale il protagonista inizia a convivere, dimentico dell’altezzosa tradizione ereditata dal padre che gli faceva soltanto confezionare abiti per uomini facoltosi.

Il principale impulso comico è dato dal contrasto dei modi affettati e maniacalmente attenti al dettaglio, anche quando apparentemente insignificante, del sarto, con quelli più spicci e diretti della comunità che va a conoscere, composta appunto per la maggior parte da persone che devono necessariamente badare al sodo e che spesso non capiscono esattamente quello che Nikos dice loro – o quantomeno, l’effetto del microclima delle coste australiane sulla lana non sembra proprio di loro interesse. Alla lunga i siparietti di questo tipo però diventano ripetitivi e banali, e il montaggio metronomico del film non regala scossoni o svolte nella narrazione, che si accompagna dolcemente alla sua conclusione raccontando una favola conciliante e, a dire il vero, un po’ ruffiana.

Raftis è uno di quei film che sono fatti per rasserenare lo spettatore, non facendolo evadere, ma spiegandogli che la realtà nella quale è disgraziatamente immerso magari ha molteplici e semplici soluzioni: un mondo uguale al suo ma dove tutto funziona e gli imprevisti non esistono. Un’opera rassicurante e di buoni sentimenti il cui unico fattore di interesse, passata la prima mezz’ora, è rappresentata dall’uso dello spazio del piano di lavoro, il riciclo degli strumenti, cioè il lato più artigiano e tecnico delle operazioni di Nikos, di cui siamo costretti ad apprezzare la creatività scatenata e la nuova allegra inventiva; inventiva il cui esito finale consiste in originali vestiti da sposa cuciti su misura e con materiali di riciclo che fanno apprezzare i costumi (la regista prima di intraprendere una carriera dietro la mdp ha lavorato anche come production designer), ma c’è davvero poco, complessivamente, oltre a questo. Un festival cinematografico, ora come ora, nel livellamento selvaggio che equipara disgraziatamente film e content, dovrebbe offrire forse qualcosa di più nelle sezioni ufficiali.