Dopo una più che convincente prima stagione, Black mirror ritorna nel 2012, sempre sotto la sapiente guida di Charlie Brooker, con altri tre episodi, ancor più conturbanti e inquietanti dei precedenti.

Come la prima, anche questa seconda stagione segue lo stesso filo conduttore della prima, ovvero i cambiamenti nella quotidianità dovuti all’avvento di Internet, ma presenta un elemento in più. Questo nuovo trittico di episodi segue una rigida gerarchia attraverso gli episodi. Ognuno si attiene a un certo ambito, dapprima personale, poi sociale, e infine politico.

Il plot

Ancora una volta dunque  abbiamo tre episodi stand-alone, indipendenti l’uno dall’altro, uniti dalla comune tematica della tecnologia. Ma, come si diceva prima, le novità riguardano il crescendo nella capacità di generare angoscia negli episodi e una climax nel contesto delle tre narrazioni, che va dal dramma del singolo fino a quello globale. In Be right back la protagonista non riesce a riprendersi dall’accidentale morte del fidanzato, così arriva al punto di ordinare un automa con rispettivi tratti fisici e caratteriali, fino a quando capirà che una relazione del genere non può sussistere. In White bear una donna si ritrova in un mondo popolato da esseri umani che riprendono tutto con un cellulare muovendosi come se fossero zombie, per poi scoprire che si tratta di una mastodontica messa in scena. In The Waldo moment la popolarità di un personaggio comico immaginario cresce al punto da aprirgli la strada per le elezioni nazionali.

La serie

Come per la prima stagione, proponiamo una recensione spoiler-free di ogni episodio.

Nella prima puntata, questa volta la meno incisiva delle tre (al contrario di quanto successo con la prima stagione, che vedeva svettare il pilot sugli altri episodi), viene analizzato il rapporto tra uomo e automa, e come il secondo, nonostante progressi e perfezionamenti, non possa sostituirsi al primo. L’automa è perfetto, più sicuro di sé, più capace, anche più potente sessualmente: in breve, il fidanzato ideale. Ma l’idillio tra la donna e la macchina non dura perché l’ultima non ha una sua personalità, non si instaura un vero rapporto. La macchina ubbidisce agli ordini, e quindi inizia a diventare irritante. Non ragionando come una persona umana, non può comportarsi come tale ed essere il sostituto del compagno per la protagonista dell’episodio. Quindi abbiamo un’attenta riflessione sulle capacità umane che una macchina non potrà mai rimpiazzare (quelle emotive), e notiamo il piano prettamente personale su cui si sviluppa la vicenda: un dramma del singolo che viene schiacciato dallo strapotere tecnologico, arrivando al punto di pentirsi della scelta ma anche della capacità di fare una cosa come replicare realisticamente un essere umano, un potere enorme che però non può essere sfruttato appieno.

Nel secondo episodio invece notiamo echi di National anthem, il pilot della serie. Ci spostiamo in questo caso su un piano sociale, e come per National anthem, ritorna la dimensione dell’umiliazione. Quest’episodio conduce lo spettatore a interrogarsi su buona parte del programmi televisivi moderni, e sulla loro natura qualunquista. Nella scorsa stagione si metteva sotto esame il sistema dei talent o dei reality, adesso Black mirror si interroga su un certo tipo di talk show e sulla vera natura di essi. Non è raro che dibattiti di natura politica o ideologica sfocino nell’insulto più puro e semplice, con il solo scopo di accattivarsi la simpatia più immediata di chi ascolta, anche al prezzo di crocifiggere metaforicamente qualcuno dal punto di vista mediatico, esponendolo al facile giudizio di tutti (proprio come nel primissimo episodio della serie). Questa puntata è una metafora di quello che succede in quei casi, un’umiliazione pubblica, con il solo scopo di destare l’interesse voyeuristico del pubblico (gli zombie con i cellulari ), che si esalta attraverso l’altrui umiliazione.

Nell’ultimo episodio, The Waldo moment, si concretizza una tendenza silente di Black mirror, quella di avvicinare lo spettatore alla sua realtà. In questa puntata diventa impossibile dividere le due cose perché riflette un fenomeno che tutti hanno conosciuto in un modo o nell’altro. In questo caso di parla di Waldo, un pupazzetto comico animato a computer che riflette il malcontento della persone comuni, ma anche la disinformazione serpeggiante. Questo orsetto blu offende e critica i politici, critica il sistema, inneggia alla democrazia virtuale senza avere però idee chiare, al punto che l’uomo che lo muoveva da dietro le quinte deciderà di smetterla, ma non è importante chi c’è dietro, bensì solo il pupazzo, e quindi verrà prima prontamente sostituito e poi dimenticato. Al di là di ogni opinione politica, in tutto il mondo abbiamo visto fenomeni del genere, che viaggiando sul malcontento popolare si affermano, fino ad esercitare un potere non indifferente. Proprio per questi motivi l’episodio, pur non essendo il più bello, è il più importante, perché è quello più vicino alla realtà.

Cosa aspettarsi dalla terza stagione

In conclusione, questa seconda stagione di Black mirror soddisfa pienamente le aspettative. Non solo alza ulteriormente l’asticella della qualità rispetto alla prima, impresa assai ardua, ma apre gli orizzonti della serie a binari inediti e ancora molto promettenti. Tuttavia gli ascolti sono stati insufficienti al punto che Channel 4, che non può vantare le risorse di altri canali americani, ha ridotto la terza stagione a un unico episodio-mosaico andato in onda come speciale di Natale. La cancellazione era stata annunciata, quindi, ma nel 2015, come per altre serie quali Ripper Street o The Killing, Netflix ha deciso di comprarne i diritti e rinnovarla per una terza stagione di ben 12 episodi che vedrà la luce questo inverno. Se il trend è il seguente, e se Netflix sarà in grado di dare a Black mirror il supporto (anche economico) e la stabilità che non ha avuto nei primi anni, allora potremmo trovarci dinanzi a una delle serie più importanti di questo decennio.