Direttamente dalla Francia arriva per farsi ammirare dalla sala festivaliera più grande in assoluto, cioè la Piazza Grande, l’ultimo film di Spike Lee. BlacKkKlansman passa in pochi mesi da Cannes 71 a Locarno 71, accompagnato come al solito dal buffo e malvestito figuro che ne è il creatore.
Spike Lee è stato e rimane un grande autore, capace di farsi notare per le abilità registiche e critiche (rispetto alla fase di scrittura) e per il forte impegno con cui affronta le questioni razziali, come sappiamo tutti. Da circa una decina d’anni sembrava essersi un po’ perso, ma negli ultimissimi tempi appariva sulla via della rinascita (vedasi la delirante potenza di Chi-Raq) e quest’ultima opera conferma la tendenza: un cotonato e ambizioso John David Washington (figlio di Denzel, attore feticcio di Lee) è Ron Stallworth, primo ufficiale nero del corpo di polizia della Colorado Springs degli anni ’70 che, cavalcando l’arroganza della gioventù e la volontà di dissipare l’ostilità che ha accompagnato la sua nomina, darà il via a una folle operazione sotto copertura: infiltrarsi nel Ku Klux Klan.
Le premesse ci sono tutte per una pellicola di Spike Lee di quelle che si ricorderanno per un po’, e il lavoro certosino che le sviluppa è di grande pregio. Lee miscela come meglio non si potrebbe dramma e comicità, concedendosi al politicamente corretto e scorretto di volta in volta, mettendo in risalto le forzature e gli aspetti più paradossali della vicenda – a quanto pare tratta dall’autobiografia del vero Ron Stallworth – e sfruttando costumi e musica quanto basta. Permanenti dappertutto, giubbotti di pelle pure, associazioni segrete di studenti neri sotto ogni seminterrato e in superficie colori a non finire: tutto questo è gli anni ’70 visti da Spike Lee, che si prende gioco della vacuità dei tempi se si pensa all’impegno della comunità nera nella lotta per i diritti civili nel medesimo periodo. Ron Stallworth dà il via all’operazione rispondendo a un annuncio del Klan (pardon, l’Organizzazione) su un giornale locale e sacramentando un po’ sui “neri che invadono l’America bianca”, in una delle prime e deliranti scene. Ingaggiato. Ora toccherà a Flip Zimmerman – un sempre ottimo Adam Driver – partecipare in prima persona e sventare l’attentato che si sta preparando; ma ciò che carpisce l’attenzione è proprio il lavoro che Lee fa sul sonoro, permettendo di cogliere ogni minima variazione di suono, tanto nella musica, quanto nel tono dei parlanti, che poi è anche il fulcro di una delle gag meglio riuscite. La musica non è solo un elemento d’accompagnamento, c’è un fattore audio caricatissimo, dai cori alle manifestazioni, dalle urla che si sovrappongono fino ai bisbigli, il film è un battere continuo nelle orecchie dello spettatore, che martella andando di pari passo con le scene, non c’è un singolo momento in cui ci sia silenzio, come un folle ballo in maschera.
Oltre al sonoro, e anche alla solita regia curatissima di Lee che fa il pendolo tra l’estremamente classico e il ritmo serrato popeggiante, BlacKkKlansman ha una gestione dei tempi perfetta, sia di quelli comici, sempre azzeccati, che dei momenti più importanti e critici che non vengono mai esasperati, filando via rapidamente, anche troppo se si considera la durata, quasi 140′, di una pellicola che si propone comunque di trattare un tema scomodo. Senza scivolare nella retorica sì giustificata ma banale del “ma di questi tempi”, Lee è bravo a diluire le sue frecciate contro Trump senza appesantire la sua opera e senza macchiarsi di paternalismo didascalico, esattamente come dimostra autoironia e ampiezza di pensiero nell’evidenziare plasticamente anche le ingenuità nella lotta per i diritti civili del tempo – come l’idea della race war, condivisa anche dai Black Panthers – e allo stesso tempo nel fornire un ritratto coerente e ridicolo di David Duke, quello stesso David Duke, ex Maestro Stregone – qualunque cosa significhi – del KKK che vediamo arringare la folla nelle immagini di repertorio che concludono il film, non sappiamo se aggiunte ad hoc per il festival. Quest’ipotesi è probabile perché quel footage riguarda gli incidenti del 12 agosto 2017, cioè la data di chiusura di Locarno 70, che, nonostante un tocco eccessivo di patetismo, colpiscono forte.
BlacKkKlansman è un film coerente con se stesso fino alla fine, equilibrato per come si prende sul serio quando è necessario farlo, rivelandosi anche strappalacrime se legittimo (il monologo di Belafonte nel montaggio alternato con il Klan che guarda Birth of a nation è da brividi) ma anche divertente, audace, quando c’è da scherzare o da fare satira, giocando con il cinema nelle sue determinazioni, auditiva e visiva, rendendo la sua separazione narrativa pure tematica. Spike Lee is back.