Un uomo è casuale testimone di un omicidio. Non si tratta però di un assassinio qualunque, bensì del portiere della nazionale di calcio. Il testimone involontario rimane così scosso da iniziare una sua sorta di indagine intima che lo porterà ad avvicinarsi in modo pericoloso agli elementi del crimine.
Dmitrij Mamulja è georgiano, ma il suo film sembra turco, nel bene e nel male. Ci spieghiamo meglio. I campi lunghissimi dell’incipit ricordano Once Upon a Time in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan, così come alcuni interni fumosi e le facce scavate degli uomini del luogo fanno tanto “film esotico” con contadini baffoni e silenti…Al di là dei possibili approcci ironici, Mamulja è sul nostro radar almeno dal 2010, quando esordì sul lungo con un interessante Another Sky nel concorso del festival ceco di Karlovy Vary, dove la sua storia di immigrati centro-asiatici a Mosca conquistò meritatamente una menzione speciale. Lì l’analisi sociale, che ci pare di ricordare (ma sono passati quasi dieci anni…) come sostenuta con uno stile a metà fra l’enigmatico e l’impegnato, faceva sperare nella nascita di un buon autore. Mamulja invece si è un po’ perso, o piuttosto dedicato ad altre attività (teoria filmica, direzione di una scuola di “Nuovo cinema”, testi poetici e filosofici), e questo presentato ad Orizzonti risulta essere solo il suo secondo lungometraggio. Il tempo passato lo ha forse spinto eccessivamente sul lato enigmatico ed ermetico di cui sopra…
Si sarà capito da questo esordio che Criminal Man non ci ha lasciati esterrefatti per la sua bellezza, o per lo meno ci ha istillato forti dubbi sulla riuscita di questo cubo di Rubik rurale in cui le facce faticano a prendere posizione, e nel quale, quando i colori si avvicinano alla propria definizione, lo spettatore medio ha da lunghissimo tempo perso qualsiasi interessa alla “vicenda”. Il taciturno protagonista Giorgi assiste ad un omicidio, e già dall’incipit Mamulja decide di lasciarsi all’oscuro su perché mai egli si sia fermato con la sua macchina proprio lì in mezzo al nulla, e sul perché egli torni poi sul luogo del delitto con ossessionante insistente. Ci vuole un po’ di tempo per comprendere che quello di Mamulja è un tentativo (interessante, per carità, ma riuscito solo in parte) di analisi psicologica delle vie misteriose della psiche seguendo le quali un uomo diventa un potenziale assassino, flirtando con desideri di rivalsa, tendenze semi-psicotiche e voglia di diventare “qualcuno”. Del resto uno dei titoli del progetto era “Testimone di un delitto”, a chiarire ancor maggiormente gli echi dostoevkiani.
Questo Criminal Man, purtroppo sembra sottostare a certe regole non scritte dell’opera programmaticamente “da festival” in cui ci si incaponisce a spezzettare e mescolare gli elementi, per attingere con più certezza a un’aura di autorialità esotica (per capirci, alcune scene e soluzioni cadrebbero subito vittime del sarcasmo di Stefano Disegni, noto sul Lido per le sue strip comiche dedicate ai film più ostici…). Chi scrive è ovviamente lontano dal ridurre a toni sarcastici l’analisi dell’opera, le cui qualità intellettuali e gli stimoli creativi sono ben evidenti, ma rimane un po’ interdetto dalla sua stessa capacità di chiudersi a guscio in modo leggermente autistico e auto-esclusivo.