Anni ’90: Selma è unica, ma Selma è doppia. Una Selma è adolescente, francese, vive a Neuilly-sur-Seine, esce con gli amici, frequenta Julien e si ribella ai genitori come spesso gli adolescenti fanno. Una Selma è algerina: non ci è nata, non ci ha mai vissuto, ma l’Algeria è parte di lei, di suo padre e sua madre, del suo nome, del suo essere sottilmente diversa dai compagni di università, della lacerazione che sente di fronte al suo paese che sta attraversando una guerra civile, degli attentati che vede solo in televisione.
È difficile, per Selma, conciliare queste due anime; ancor più difficile mettersi in relazione a un padre che la ama ma non la vuole lasciare libera, o a una madre che la vuole sposata a un bravo ragazzo arabo e che sottilmente si disprezza perché ha rinunciato alla sua carriera di ginecologa per essere “solo” mamma e moglie. E in questo mare di difficoltà, il corpo di Selma pare annegare. Un corpo che sta prendendo il sopravvento su tutto, con una sensualità che attira lo sguardo degli uomini – volente o nolente – e le impedisce di condividere gioie e dolori con una famiglia (una madre) che non potrebbe, o non vorrebbe, comunque capire. Un corpo che la libera e la soffoca allo stesso tempo.
Non ci sono dubbi che Cigare au miel (che prende il nome da un piatto tipico algerino) sia opera di una donna, e l’essere opera prima è vieppiù rilevante nella sua freschezza: l’occhio che inquadra Selma non è mai morboso né violento, nemmeno nei momenti più crudi, ma amorevole ed empatico, indugia a lungo su di lei come farebbe lo sguardo di una madre, indulgente e gentile. E proprio grazie a sua madre, e a una decisione sofferta e coraggiosa che sarà motivo di crescita per entrambe, Selma avrà finalmente la possibilità di essere pienamente se stessa, composta di corpo ed entrambe le sue anime, che finalmente avranno conquistato un’armonia completa.
È molto difficile riuscire ad esprimere delle sfumature di sentimenti così leggere, dei cambiamenti quasi impercettibili che parlano di maturità e sofferenza, ma Kamir Aïnouz e Zoé Adjani sono riuscite a catturare appieno l’essenza di questo complesso passaggio all’età adulta, con tutte le sue debolezze e le sue contraddizioni. In paragone son venuti spesso alla mente sia Mektoub, My love: Canto Uno, che La vita di Adele, di Abdellatif Kechiche.
Pur nella loro diversità, entrambi i film cercavano di raccontare un pezzo di vita di qualcuno che sta a metà tra l’adolescenza e la maturità, con tutto ciò che questo comporta (amori, cambiamenti, sofferenze e indecisioni), e in entrambi i casi, a mio avviso, i protagonisti erano totalmente impenetrabili allo spettatore: tutto ciò che Kechiche riprendeva erano i loro corpi (anzi, in Mektoub gli unici corpi inquadrati erano quelli delle donne di cui il protagonista si circondava, donne ridotte unicamente ai loro seni o ai loro glutei), non c’era interesse a narrare gli sviluppi emotivi che questi corpi attraversavano.
Tutto il contrario, invece, di quanto accade in Cigare au miel, in cui è proprio grazie al suo corpo – nascosto, esposto, sfrontato, timido – che Selma finalmente reclama la propria identità.