È il 1940, un’Italia bellicosa ma impreparata è da poco scesa in guerra accanto all’alleato tedesco, confidando in un conflitto lampo. Quando la Regia Marina agli ordini di Mussolini chiama, l’ufficiale fascista Salvatore Todaro risponde presente. Il comandante ha il compito di portare il sommergibile Cappellini verso l’Atlantico orientale per destabilizzare le rotte dei bastimenti britannici.

Pierfrancesco Favino – COMANDANTE – @ Enrico De Luigi

Todaro, a suo modo, esegue. Presto affonda a cannonate un neutrale mercantile belga (che in realtà trasporta armamenti inglesi, anche se questo lo scoprirà solo in seguito). Ma se il “ferro” merita l’ardita offensiva italica, gli uomini sopravvissuti allo scontro perdono lo status di “nemico” non appena toccano le gelide acque atlantiche: sono naufraghi. Todaro li salva. È questa la legge del Mare.

La legge del cinema è un’altra: raccontare gesta coraggiose o episodi straordinari senza uscire dal seminato è più facile che immergersi nelle farraginose pieghe della Storia o dell’animo umano. E rende di più, nella stragrande maggioranza dei casi (film come Oppenheimer rappresentano un’eccezione). Così della vicenda di Salvatore Todaro, colto, mistico e amatissimo – dai suoi marinai – comandante “vate”, il regista Edoardo De Angelis salva l’episodio del soccorso in mare, ma sceglie di non ricostruire, o almeno evocare, le esperienze che hanno portato Todaro a prendere quella fatidica decisione, presa nonostante la prassi e il mandato dei suoi superiori. Un mandato onorato con convinzione fino alla morte, avvenuta in un’altra battaglia.

Pierfrancesco Favino e Silvia D’amico – COMANDANTE – @ Enrico De Luigi

La descrizione del salvataggio dell’equipaggio del Kabalo risulta così empatica, ma avulsa dal tempo, smussata di angolazioni controverse, priva di complessità e impermeabile al contesto dei belligeranti regimi nazifascisti. A trarne vantaggio è una narrazione lineare e addomesticata, visivamente accattivante, per lo meno per il cinema di intrattenimento made in Italy a cui siamo abituati, seppure non originale. Non a caso la storia – che rischia di non scontentare nessuno – del comandante “eroe”, fascista normalizzato, Salvatore di nome e di fatto, è diventata un kolossal da 15 milioni di euro, un budget stratosferico per le povere casse del cinema italiano.

Pierfrancesco Favino – COMANDANTE – @ Enrico De Luigi

Pierfrancesco Favino riempie la scena con la sua consueta performance mimetica, questa volta meno efficace del solito anche a causa di un ostentato e a tratti stridente accento veneto. È il suo personaggio però a rimanere bidimensionale, senza un’evoluzione, estrapolato da un mondo più grande di lui dal quale si emancipa solo grazie a divinazioni dal greco antico, yoga e fortunati vaticini. Nel suo compito, la star del cinema italiano non è aiutata dalla sceneggiatura spesso didascalica prodotta dallo scrittore Sandro Veronesi, in cui una stereotipata Italia dei campanili trova ecumenica unità sotto le armi, tra un piatto di gnocchi e O’ surdato ‘nnamurato suonata al mandolino.

Infine, mentre solleva la questione attualissima e fondamentale dei salvataggi in mare, Comandante rischia allo stesso tempo di rimanere impantanato in derive revisionistiche dove la sacrosanta tutela della vita, il dovere di non abbandonare chi può essere salvato, anche in guerra, diventa la pericolosa rievocazione antistorica del “ha fatto anche cose buone”.