Alcool, droga, violenza, delinquenza, rapine, amori e tradimenti, omosessualità, povertà, la Roma coatta e uno scrittore colto. Lo scrittore colto è Vincenzo Salemme. Il resto è peggio. Il contagio si gioca sulla ricerca di bellezza e di grazia. A fare da sfondo, una Roma di borgata brutta, sporca e maleodorante. In cui i ricchi sono corrotti e si fanno di cocaina dalla mattina alla sera.
Vivono tutti in uno stesso condominio di periferia, dove i ricchi di domani bevono birra e ridono sguaiatamente con i disperati di oggi. E tra gli uni e gli altri non c’è differenza. Tanto si riincontreranno tutti sotto la doccia in un carcere. Se sono fortunati.
Nel 2008, Walter Siti, del cui romanzo è stato tratto il film, ci informava di quella che poi sarebbe stata Mafia Capitale. Profetico. Però all’ennesima scena del burino arricchito che sniffa cocaina nel bagno di una festa di fighetti, con la musica assordante nelle orecchie, gettiamo la spugna anche noi.
Il senso è: ecco Roma; non quella del Colosseo, dei Fori Imperiali o di Castel Sant’Angelo. Lo dice anche Salemme, narratore della storia. Ma una Roma che è un po’ telegiornale unito a La grande bellezza. Il tutto abbruttito, impoverito. Ma, alla fine di tanta bruttezza, ci imbruttiamo anche noi. Dicono che ci fosse bisogno di un film così. In realtà la storia è sempre la stessa, i film sempre gli stessi, i finali li conosciamo già. Li abbiamo visti in qualche parabola cristiana o nella fine del San Sebastiano. Brutto, però.