Certi sbirri non mollano mai. Si consumano, piuttosto. Seguono le orme dei padri, dei nonni, l’Irlanda nel cuore e New York nell’anima. Turno su turno, fanno quello che si deve fare per portare a casa i loro volti segnati dalla strada e invecchiati precocemente, per mantenere una famiglia che non vedono abbastanza. Poi un giorno, all’improvviso, tutto va a puttane. E non è il mondo a rivoltarglisi contro. Troppo facile. È la vita a chiedere il conto. Una vita iniziata chiudendo un occhio e finita diventando assassini.
Da Force
Ci sono 38 mila piedipiatti a New York City. Denny Malone è uno di loro. Dopo quasi vent’anni di servizio, di sicuro è uno dei più cazzuti, violenti e spregiudicati. Dev’essere così, è la città che lo chiede. Il suo compito speciale è quello di “mantenere la posizione”, di non lasciare che la feccia riguadagni terreno a nord di Manhattan. C’è una divisione speciale che si occupa di questi territori: la Manhattan North Special Task Force o, come la conoscono in strada, Da Force.
Noi siamo giardinieri. Il nostro lavoro è impedire alla giungla di tornare a crescere
Quando il crimine si fa arrogante, si intimidisce; quando le gang colpiscono, si reprime; quando gli affari volano, ognuno ha il suo tornaconto. Sbirri inclusi. Da Force mantiene l’ordine, sposta gli equilibri malavitosi colpendo un trafficante al posto di un altro. Confisca eroina quando i piani alti lo richiedono, sequestra armi sporche quando l’emergenza del momento sono gli scontri a fuoco. Denny e la sua squadra fanno il lavoro sporco, quello che i colletti bianchi esigono senza volerne sentire parlare. È un equilibrio complicato, un gioco win win sulla pelle di criminali e contribuenti, anche se con alta probabilità di lasciarci le penne. Il fine giustifica i mezzi, sempre. Il primo compromesso lo fai per togliere un po’ di “roba” dalla tua zona, l’ultimo per pagare la scuola ai tuoi figli. Nel mezzo una corruzione diffusa e virale che arrugginisce distintivi dorati e anime perse.
Come si può arrivare fino a questo punto? Un passo per volta. Parola di Denny Malone, il Re di Manhattan North.
Corruzione
La corruzione di Don Winslow non è un male estinguibile chirurgicamente, né un’epidemia circoscrivibile. La corruzione descritta nel suo ultimo romanzo (anche questa volta pubblicato da Einaudi, con l’ottima traduzione di Alfredo Colitto) è una molecola diffusa nell’atmosfera, una particella che satura l’ambiente, una colonna portante della società. Un pilastro su cui si regge l’intera New York City. Lo sbirro corrotto è solo il cliché più evidente di substrato malavitoso che attanaglia tutto: politica, affari, amministrazioni pubbliche e private, avvocati, giudici, pubblici ministeri, federali e, ovviamente, poliziotti. Soldi e potere sono sul piatto della stessa bilancia; tutti girano la testa dall’altra parte finche non si tratta di intascare la busta, ungere il sistema, consolidare la propria posizione o farla pagare ai propri nemici. La corruzione è un sistema a integrazione verticale che non lascia scampo. Almeno, nella fiction di Don Winslow, i nodi vengono al pettine, per tutti.
E perché i soldi devono farli sempre solo i cattivi, quelli che torturano e uccidono? Perché per una volta, pensa Malone, non possiamo essere Russo, Monty e io a tirare su qualcosa per costruire un futuro per le nostre famiglie?
Dark Horse e NYPD
La guerra alla droga è persa. Lo sostiene in più riprese Winslow, anche in una bella intervista rilasciata a Enrico Deaglio su Il Venerdì di Repubblica. E la droga torna al centro dell’attenzione dello scrittore di origini italiane dopo i romanzi cult Il potere del cane e Il Cartello, anche se questa volta in maniera obliqua. In Corruzione l’eroina (Dark Horse) diventa merce di scambio, contropartita politica quando inizia a intaccare i quartieri dei bianchi, o miraggio di una pensione dorata per tutori dell’ordine sottopagati e con la morte negli occhi. Bande di poliziotti e bande di criminali la usano come moneta, strumento di potere per mantenere la gerarchia sociale.
New York, New York
Non è la Grande Mela delle opportunità, del cosmopolitismo e del progresso, quella descritta in Corruzione. Don Winslow arriva sulla costa Est, abbandona le spiagge del Pacifico dove si fa surf tutto l’anno e i deserti di confine. Sempre al ritmo di Hip Hop – anche qui, nonostante le citazioni dai pezzi di NAS, il cuore di Winslow sembra rimasto sulla West Coast dei NWA – la città che non dorme mai è un luogo oscuro e selvaggio.
Il crime che fila liscio
La gente non sa quanto siano tribali i poliziotti
Denny Malone è il simbolo di qualcosa di più grande. Magari ne è la parte peggiore, logora, viziata e corrotta, ma è il Dipartimento di Polizia di New York che Winslow scolpisce sotto i colpi di una scrittura realista e pragmatica. Una famiglia con i suoi codici, le sue tribù – basate in primis sulle etnie – e i suoi segreti. In maniera diametralmente opposta a un altro caposaldo del genere, Hollywood Station di Joseph Wambaugh, giusto per proseguire sull’antagonismo tra East & West coast, Corruzione parla di sbirri sopraffatti dalla strada. Poliziotti che, in qualche modo, hanno mollato, un passo alla volta. Se la questione razziale domina l’intero romanzo, rivelando una crepa profonda che l’America di Obama non è riuscita a rinsaldare, la narrazione prosegue sui binari collaudati del genere senza particolare originalità, ma non per questo con meno talento letterario di quello che ci aspetteremmo da Don Winslow. Il risultato è un romanzo convincente e avvincente, un buon succedaneo per gli orfani di Art Keller & CO.