È trascorsa già una settimana dall’apertura di Treasures from the Wreck of the Unbelievable, la nuova mostra di Damien Hirst, inaugurata il 9 aprile con grande successo di pubblico e di critica. Con questo nuovo lavoro Hirst si conferma come l’attore protagonista nello star system dell’arte contemporanea. L’artista ha saputo reinventarsi, proponendo qualcosa di completamente diverso ma riuscendo a rimanere grande; non è caduto nella tentazione di restare incollato alle formule che lo hanno reso famoso (nel suo caso, formule fatte di pillole, diamanti e animali in formaldeide) ma con questa esposizione ha proposto qualcosa di completamente nuovo e inaspettato: un falso storico.
La mostra verte sul concetto di verità, mettendo in discussione la sua utilità e trascinando lo spettatore nel labirinto del dubbio. Il racconto imprescindibile per visitare l’esibizione è quello del ritrovamento, al largo della costa orientale dell’Africa, del relitto della Apistos, una nave carica di tesori risalenti a un periodo che va dalla seconda metà del I all’inizio del II secolo d.C. Tale racconto è rafforzato dalla presenza di video che riprendono il ritrovamento del relitto, la raccolta degli oggetti preziosi e da modelli su scala dell’imbarcazione. Ma non è che una bugia, o meglio, una storia, ideata e promossa da Hirst, che ha lavorato per ben dieci anni al fine di renderla “reale”.
I tesori recuperati dalle acque sono duecento fake che riproducono sculture greche ed egizie, anfore, monili, statuette votive; i materiali utilizzati sono quelli preziosi, amati e usati così spesso dall’artista nella sua produzione: la giada, il marmo di Carrara, il cristallo, l’oro. Sono rappresentate epoche storiche differenti, con sbalzi temporali che arrivano fino al presente: compaiono, infatti, anche autoritratti ed altre opere che strizzano l’occhio ai colleghi Marc Quinn e Jeff Koons.
L’inganno è quindi evidente; ma Hirst e la curatrice Elena Geuna fanno finta di niente, continuando imperterriti a raccontare la storia della nave Apistos, ripetendola nel corso di conferenze e interviste, fino a farci credere che forse sì, forse è tutto vero. Ma proprio quando lo spettatore è tentato di abbandonarsi al piacere della favola, ecco l’ironia cinica di Hirst che ci riporta coi piedi per terra: busti greci sui quali campeggia la dicitura “Mattel inc. China”, a ricordare quelli delle famose Barbie; ritratti nei quali riconosciamo sia l’artista che la curatrice; perfino Pippo e Topolino fanno la loro comparsa.
È la prima volta che la Fondazione Pinault concede entrambi gli spazi (Palazzo Grassi e Punta della Dogana) a un solo artista ma Hirst ha saputo animare gli ambienti con opere monumentali, tra le quali spicca l’impressionante Demon with Bowl, una scultura in resina di 18 metri d’altezza. Prediletto di Charles Saatchi, per il suo rilancio ha scelto di affidarsi a François Pinault, con il quale aveva collaborato in più occasioni; ricordiamo in particolare il suo debutto a Palazzo Grassi nel 2006 all’interno dell’indimenticabile esposizione collettiva Where are we going? Il lavoro attualmente in mostra non è meno sorprendente, con pezzi che toccano prezzi stellari (arriviamo a 4 milioni di dollari per una decorativa Testa di Medusa in malachite, ma i monili più piccoli hanno prezzi più abbordabili). Numeri che non sorprendono; nonostante la sua ultima asta abbia chiuso con parecchi invenduti, ricordiamo che le quotazioni vertiginose delle sue opere hanno ispirato pubblicazioni e studi sull’economia dell’arte, tra i quali il libro di Donald Thompson Lo squalo da 12 milioni di dollari.
Il bilancio di questa prima settimana è decisamente positivo, un successo prevedibile: la mostra, annunciata dalla stampa mesi prima, non ha deluso gli spettatori. Sulle riviste, specializzate e non, si recensisce la titanica impresa dell’artista inglese. Il maggior pregio del lavoro di Hirst è quello di non lasciare mai indifferenti: e così ecco anche i blitz dei Cento per cento animalisti, che condannano l’uccisione di animali e l’uso dei loro cadaveri per produrre le opere d’arte che hanno consacrato l’artista alla fama. Non sono presenti in questa esposizione e pertanto le proteste appaiono un po’ fuori luogo e controproducenti: non fanno che aumentare, se possibile, la curiosità nei confronti dell’esposizione, che hanno anche criticato per il prezzo ritenuto esoso. Diciotto euro per una mostra veramente unica, qualcosa di mai visto prima, pare un costo abbastanza onesto; soprattutto perché si colloca in due dei palazzi più magici di Venezia – una città che ama le leggende, tanto più se raccontano le storie di velieri e di tesori sommersi.