Chiunque sia stato a Vienna a Capodanno sa che, oltre al concerto al Musikverein, non esiste primo gennaio senza Die Fledermaus. Sono riti che si ripetono ogni anno, figli di una cultura raffinata e del desiderio di abbandonarsi alla spensieratezza del valzer e dell’alcool, da consumarsi con moderazione ovviamente, perché “felice è chi dimentica ciò che non si può cambiare”. Alla luce di quanto avviene in Italia, dove l’operetta trova spazi assai limitati nei circuiti teatrali maggiori, felice si rivela la scelta del sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino, Alexander Pereira, di inserire in cartellone il capolavoro di Johann Strauss figlio tra il 16 e il 23 gennaio. E lo fa in grande, scegliendo una coproduzione con lo Staatstheater am Gärtnerplatz di Monaco, dove approderà ad aprile 2022, affidata alla regia di Josef Ernst Köpplinger e alla bacchetta di Zubin Mehta.

La difficolta dell’operetta in genere è quella di lasciare il tutto alla sua leggerezza. Alziamo quindi un momento il sopracciglio durante l’ouverture, quando un video a mo’ di titoli di testa ci informa che l’azione si svolge in una città termale vicino Vienna nel 1920, a Impero asburgico ormai tramontato. Rosalinde e Gabriel hanno tre figli e un carlino, ma i primi verranno subito spediti a sciare con la governante e il secondo si limiterà ad abbaiare a casa degli Eisenstein. Tra la tradizione degli eleganti costumi disegnati da Alfred Mayerhofer e la modernità dei neon di Valerio Tiberi, la regia di Köpplinger fa correre veloce lo spettacolo, rispettando anche nei dialoghi parlati il ritmo scaltro della musica, senza tralasciare qualche riferimento all’attualità nel terzo atto. Le vicende coniugali degli Eisenstein dimostrano che, parafrasando Karl Kraus, se l’ordine sancito dal matrimonio naufraga, ben venga il caos del tradimento. Per riflettere questa destabilizzazione, per nulla scandalosa nel microcosmo dell’operetta, bene si addice la scena sghemba di Rainer Sinell pensata per il salotto borghese del primo atto, dove fanno bella mostra i trofei di caccia, una chiara allusione alle corna, e per l’ufficio delle carceri, dove l’ordine non esiste perché l’alcool ha annebbiato le menti dell’usciere Frosch e del direttore Frank. Per paradosso, l’unico spazio in cui regna l’armonia è alla festa di Orlofsky, un bel giardino con tanto di monumento a Strauss (come quello dello Stadtpark di Vienna), champagne a fiumi e fratellanza universale. Da sempre spazio aperto a inventive personali, il secondo atto prevedeva un cameo di Rudolf Buchbinder, annullato per la positività al Covid. Rimane quindi solo la polka Unter Donner und Blitz coreografata da Karl Alfred Schreiner per il Nuovo BallettO di ToscanA, non molto centrata, ma coerente con l’atmosfera del momento.
La compagnia è di buon livello, affiatata e ben assortita. Si distinguono senza dubbio l’Adele di Regula Mühlemann, voce assai agile nella zona sovracuta, vispa e disinvolta nella parte che arricchisce di piacevoli colorature, e il Gabriel di Markus Werba, Eisenstein dal forte temperamento. Olga Bezsmertna è una Rosalinde riuscitissima, dal registro acuto tondo e brillante. Dissimulatore e perfettamente insinuante il Falke di Liviu Holender. Alex Tsilogiannis veste i (pochi) panni di Alfred, gigionesco nei modi e nella vocalità esuberante. Orlofsky può contare sull’autorevolezza del mezzosoprano Marina Viotti. Menzione d’onore a Michael Dangl, Frosch che fa scompisciare dalle risate. Completano il cast Reinhard Mayr (Frank), Daniel Prohaska (Blind), Valentina Stadler (Ida) e Francesco Grifoni (Iwan).
Il Coro diretto da Lorenzo Fratini, nonostante un’entrata iniziale timida, acquista corpo e senso nel corso del secondo atto.

Alla guida dell’ispiratissima Orchestra del Maggio c’è Zubin Mehta, 86 anni ad aprile, che imprime alla partitura un colore particolare, limpido, scevro di manierismi. C’è dentro tutta la sensibilità del veterano dell’opera lirica che si concilia con una Weltanschauung financo malinconica, ma non manca il brio frizzante dello champagne che è l’altro protagonista della Fledermaus.
Sala non pienissima alla replica del 23 gennaio, ma il pubblico accoglie con calorosi consensi il cast e Mehta, applauditissimo e amatissimo.
Luca Benvenuti