Brett Ridgeman e Anthony Lurasetti sono due detective integerrimi ma dai modi piuttosto bruschi (si potrebbe anche dire brutali?), e quando il video di un loro arresto particolarmente “entusiastico” viene diffuso dai media, al loro comandante non resta che sospenderli senza paga. Entrambi in disperato bisogno di soldi (Lurasetti, il più giovane dei due, è in procinto di sposarsi e vorrebbe dare il meglio alla sua futura compagna, mentre Ridgeman, quasi sessantenne, ha una moglie malata di sclerosi multipla e una figlia che sta attirando sempre più l’attenzione dei delinquenti del quartiere malfamato in cui vivono) decidono più o meno di comune accordo – ma su proposta iniziale di Ridgeman – di derubare uno spacciatore. Pare un lavoretto facile, la cui dubbia moralità turba i nostri protagonisti solo fino a un certo punto: rubare a un delinquente non è poi così disdicevole, ed è il sistema che li obbliga, in fondo, sottopagando il prezioso lavoro che fanno.
Ovviamente il lavoretto rapido e veloce non filerà liscio come previsto e i due si troveranno a essere invischiati in un affare più grande di loro, dalle conseguenze drammatiche.

Guarda le foto del cast di Dragged Across Concrete a Venezia 75.

Zahler ritorna a Venezia un anno dopo il clamoroso Brawl in Cell Block 99, un film che prendeva Vince Vaughn, lo toglieva dai film in cui si imbucava ai matrimoni, gli tatuava una croce sul cranio e lo faceva diventare un meraviglioso energumeno che distribuiva cazzotti come non ci fosse un domani. Ossia il ruolo per cui uno che ha la faccia come Vince Vaughn era nato. Brawl era un film lento ma compatto, che si prendeva un sacco di tempo per creare l’atmosfera giusta, costruire il personaggio di Vaughn, farcelo conoscere e apprezzare in uno spettacolare crescendo di violenza che si concludeva gloriosamente con la brawl (rissa) del titolo. Tutto ciò che Dragged Across Concrete vorrebbe provare a rifare, senza riuscirci.

Anche qui ci si trova di fronte a un film molto lungo per gli standard del genere (un action crime thriller), ed è una lentezza che non pesa, un respiro profondo prima di prendere la rincorsa per il salto finale. Che però non c’è. E mancando quello, anche le lungaggini iniziali vengono a perdere di significato.
I due protagonisti affrontano il super mega villain in un duello che manca di tensione e che si frastaglia in morti dilatate e senza senso. E parlo di super mega villain perché di questo si tratta; un cattivo quasi senza nome e senza volto, causa di due episodi di estrema violenza, totalmente insensata – e anche poco utile, a mio avviso – a inizio film e che alla fine, nella sua non caratterizzazione, perde completamente di mordente e di significato. È un’entità astratta che non ha valore nel suo vivere o morire.Dragged Across Concrete

Ma il valore sta nei due protagonisti, si potrebbe dire, nel loro mettere in gioco le proprie vite per una causa, nonostante lo stipendio da fame e l’ingratitudine delle istituzioni. Non fosse che nessuno di loro – né Ridgeman, né Laurasetti, né il personaggio interpretato da Tory Kittles, un criminale appena uscito di galera che deve provvedere all amadre tossica e al fratellino paralitico – è abbastanza credibile, né come eroe drammatico, né come eroe di film di genere, quasi che Zahler fosse indeciso su che strada percorrere, e come risultato si trovasse in un vicolo cieco.

Un esempio di questa indecisione è l’uso peculiare del linguaggio: abituati a film e serie tv con dei codici precisi di stilemi linguistici per a) poliziotti e b) criminali, in questo film abbiamo Vaughn che come espletivo di preferenza usa “anchovies” (acciughe) e che per dire che sta dormendo usa la locuzione “processing air”; il criminale appena uscito di galera che è “exacerbated”; Udo Kier, nel suo cammeo di pochi minuti, saluta Ridgeman ringraziandolo “for inhabiting his shop”. Nessuna di queste espressioni rispecchia un uso reale della lingua, non sono vere ma un puro esercizio stilistico, che riesce a non far ridere grazie alla capacità di delivery degli attori principali – e se Vaughn era bravo in Brawl, avere di fianco Mel Gibson un po’ lo fa patire –, ma che contribuisce senza dubbio a creare un filtro con lo spettatore. Un esempio su tutti è il dialogo iniziale con Don Johnson, comandante del distretto, ricco di sarcastiche allusioni all’imposizione del politically correct all’ipocrisia dei media nell’additare i due detective come razzisti, discorso che oltre a essere NON politically correct, è anche di una pesantezza senza fine che male si sposa con l’atmosfera che il film vuole evocare. Vorrebbe essere un dialogo sagace e brillante, ma il risultato è invece di pedanteria.Dragged Across Concrete

Manca inoltre una vera contrapposizione, uno scontro reale: se il villain non è il nostro vero avversario, nella sua non identità, allora il nemico da combattere è interiore, è la morale che viene a cadere, i poliziotti che diventano criminali? Nemmeno, perché la decisione di passare al lato oscuro viene presa in quattro e quattr’otto, Ridgeman e Lurasetti hanno pochi dubbi: sanno che quello che stanno facendo è sbagliato, ma non poi così sbagliato, sanno che ci sono dei limiti da non superare, e hanno una sorta di etica (per esempio, Ridgeman confessa di aver preso questa decisione solo adesso perché è a tutti gli effetti un civile, data la sospensione. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere se fosse stato in servizio). Vince Vaughn continua a ripetere “I’m in it till I’m not” (ci sto fino al momento in cui non ci sto più), ma questo momento in cui non ci sta più non arriva mai, perché non entra mai davvero in conflitto con se stesso.

L’impressione che ne riporto è di un film monco, in qualche modo. Un film che fino alla fine non prende una decisione chiara su cosa voglia davvero essere, se dramma o genere, e non riesce di conseguenza a soddisfare appieno le aspettative di nessuna delle due categorie.

E comunque, avere Michael Jay White per le mani e non fargli tirare nemmeno un calcio è una cosa che grida vendetta al cospetto di dio.