I due gentiluomini di Verona, alla riscoperta di uno Shakespeare poco conosciuto

i due gentiluomini di verona

William Shakespeare. Un nome che presupporrebbe l’inutilità di presentazioni. E in effetti sono molti quelli che sostengono di conoscerne le commedie e i drammi, di apprezzarne stile e poetica. Salvo, approfondendo, scoprire che questo “Shakespeare che conoscono” in realtà sono gli adattamenti delle opere per il cinema e per il mercato televisivo. Veramente pochi hanno avuto la cura di leggerne le opere di prima mano. Ed è anche molto raro assistere ad una rappresentazione che porti in scena, pur mantenendo il titolo originale, un testo che non sia stato soggetto di una traduzione epurativa e di tagli.

Per questi motivi I Due Gentiluomini di Verona, diretto da Giorgio Sangati e prodotto dal Centro Teatrale Bresciano e dal Teatro Stabile del Veneto, arriva come una sorta di novità. Il regista Sangati, con un’operazione sinceramente rispettosa, ha trasportato – e tradotto – in  italiano il vivo testo di Shakespeare mantenendo sia la poetica e l’intensità dei monologhi sia i doppi sensi a sfondo sessuale e l’onesto turpiloquio. Quindi si assiste a una versione estremamente fedele al testo del Bardo, più di quanto si possa immaginare.

Sarebbe riduttivo dire: “le attrici e gli attori sono bravi”; è forse più corretto affermare che tutto il gruppo ha compreso il testo e lo restituisce al pubblico nella maniera più diretta ed efficace possibile. D’altra parte moltissimi personaggi di Shakespeare (compresi i personaggi prettamente comici) hanno sempre molte sfaccettature, non sono mai solo delle “maschere”, e in questo spettacolo gli attori e le attrici riescono a renderlo manifesto, sottolineando ancor più quanto Shakespeare avesse intuito e percepito la realtà “natura umana”. In questa messa in scena de I Due Gentiluomini di Verona gli interpreti esprimono al meglio la complessità del proprio personaggio: la sua metamorfosi, la sua crescita e/o trasformazione. Si tratta di Fausto Cabra, Ivan Alovisio,Camilla Semino Favro, Antonietta Bello, Luciano Roman, Gabriele Falsetta, Paolo Giangrasso, Ivan Olivieri,Giovanni Battista Storti, Alessandro Mor, Chiara Stoppa e  Diego Facciotti cui va affiancata  la partecipazione straordinaria del cane  Charlie.

Decisamente efficace la scelta di Alberto Nonnato, che ha ideato una scena composta da pareti grigie, vuote, ma mobili, in grado di permettere  un rapido cambio di ambientazione senza risultare “naïf”. Attraverso questi muri grigi e spogli il regista non solo evidenzia la forza del testo, evitando che lo spettatore si distragga con una scena ricca e ricercata, ma rafforza il valore dei personaggi – in particolare i protagonisti –  “imprigionati” nei propri desideri e nelle proprie pulsioni.

Se la scena è essenziale, non poteva essere diversamente per i costumi. Senza il bisogno essere troppo elaborati, i costumi firmati da Gialuca Sbicca  sono contemporaneamente evocativi di un tempo passato e simbolici per quanto concerne il personaggio che li indossa (basti pensare agli abiti dei due protagonisti Proteo e Valentino: uguali ma con due tinte diverse, come a voler suggerire che i due, oltre a essere pari perché amici fraterni, sono anche agli opposti nella reazione ad un amore che si frappone alla loro amicizia).

Lo spettacolo, calorosamente applaudito dal pubblico alla prima veneziana, ha reso giustizia a un autore troppo spesso rimaneggiato e frainteso. Sicuramente mettere in scena il testo “nudo e crudo” di Shakespeare è stato un azzardo non da poco, ma estremamente riuscito.