Augusto Pinochet è ancora vivo. O quantomeno, non morto. Si nasconde in una cadente hacienda ai confini della Terra del Fuoco con la moglie e il fidato maggiordomo. Lontano dalle scorribande del passato, aspetta che arrivi la sua ora. L’attesa potrebbe essere lunga tuttavia, perché lo spietato ex dittatore cileno in realtà è un vampiro la cui sete di sangue sembra essersi ormai estinta. Almeno finché i figli, preoccupati di non intascare il patrimonio nascosto del generale golpista, non innescano una reazione a catena di grottesche beghe familiari in grado di ringalluzzire l’anziano parassita fascista. Tra monache esorciste e (in)sospettabili vampire “di ferro”, la dipendenza da denaro e potere si rivela l’unica a non morire mai.
Dopo Neruda, Jackie e Spencer, Pablo Larraín rimescola ancora le carte del genere biografico affrontando a viso aperto lo spettro, per molti versi irrisolto, del feroce compaesano Pinochet. El Conde è un pamphlet satirico a tinte horror che colpisce nel segno grazie alla brutale schiettezza dei suoi protagonisti, tanto innocenti nel dichiarare le loro pulsioni malefiche quanto ciecamente criminali nella realtà dei fatti. In questo universo di sfacciato e disarmante candore amorale, in cui la banalità del male emerge sopra tutto, Larraín si diverte a esporre la pochezza di una famiglia allargata devota solo alle pulsioni dei singoli, sleale tanto nel cuore quanto nel portafoglio.
La metafora vampiresca è talmente evidente da superare indenne l’artificio retorico che dà spunto alla narrazione, divenendo con naturalezza parte integrante di una storia quasi ordinaria nella sua aberrante straordinarietà. Allo stesso tempo, il regista cileno dimostra di aver metabolizzato con passione gli archetipi del genere dedicato ai non morti, integrando a piacimento zanne aguzze e voli notturni, frullati di cuori e paletti di frassino con la cruda e spietata indole del dittatore sudamericano e di chi gli orbita attorno.
El Conde non risparmia nessuno: adepti, conniventi, garantisti, figli, parenti, fascisti di ogni ordine e grado (e provenienza), istituzioni (Chiesa in primis), stati sovrani e i loro primi ministri sono tra coloro che hanno garantito l’impunità di un dittatore accusato di crimini contro l’umanità, corruzione ed evasione fiscale. Tutto è esposto alla luce del sole, in un brillante ribaltamento della notturna condizione vampiresca, dove l’ironia disvela la storia che in troppi sono stati pronti a occultare.
In un raffinato bianco e nero di ampio respiro, tra le campagne cilene e i venti che spazzano costantemente le coste meridionali del paese, l’orrorifica vicenda, a tratti spaventosamente verosimile, è un monito alla leggerezza con cui tendiamo a dimenticare, alla facilità con cui diamo per scontato che la storia non si ripeta, fino a quando non accade. Meravigliose le prove attoriali, non solo quella del fido Alfredo Castro spettacolare maggiordomo tuttofare, ma dell’intero cast, credibile nella sfacciata denuncia di ogni ipocrisia di regime.