Adam e Bobby potrebbero essere fratelli, da quanto si somigliano (Jack e Ben Irving sono davvero fratelli nella vita reale): tutti e due biondi con gli occhi azzurri e lanciatori per la squadra di baseball del liceo, i Giants. Tutti e due innamorati di Caroline, la più figa della scuola. Ma tanto Bobby ha successo, quanto Adam è senza prospettive, tanto Bobby riesce in tutto ciò che fa, tanto Adam è impacciato e titubante. E sì che le situazioni dovrebbero essere invertite: Adam è quello con la famiglia apparentemente perfetta, la madre casalinga e il padre coach della squadra in cui gioca, mentre Bobby è orfano di madre e vive in una stamberga con il padre ubriacone.
Eppure Bobby è il classico golden boy americano, nella sua t-shirt bianca e jeans sbracati che pare uscito da una pubblicità della Marlboro, affascinante con tutti ma non per servilismo o opportunismo, solo in virtù del suo essere genuinamente un bravo ragazzo, uno che onestamente tiene a tutte le persone che lo circondano e per questo è amato da tutti, compresa la madre di Adam, che con lui intreccia una relazione clandestina per sfuggire alla monotonia del matrimonio.
Adam è il suo opposto in tutto ciò che conta: fallisce i tiri quando Bobby lancia alla perfezione (perfino quando è inconsapevolmente drogato dallo stesso Adam che vuole fargli fallire l’ultima partita di campionato); Caroline, che pure ha accettato di andare al ballo di fine anno con lui, in realtà desidera andarci con Bobby, e così infatti succederà. A completare la situazione ci sono gli abusi che Adam subisce a casa da parte di un padre violento – che crede così di riuscire a forgiargli una tempra migliore – e da una madre che silenziosamente accetta la situazione più per disinteresse che per paura. Non stupisce del tutto quindi il drammatico gesto finale che porrà bruscamente fine a quel periodo dorato (ma lo è poi davvero?) che è l’adolescenza di tutti i protagonisti.
Primo lungometraggio per Grear, artista affermato con numerose esposizioni in varie gallerie internazionali, che racconta con tratti essenziali (quasi sempre, a esclusione di una scena finale decisamente troppo esplicita) alcuni giorni della fine della scuola, quei giorni cruciali in cui tutto sta per finire e tutto sta per iniziare, e lo fa con gli occhi di tre adolescenti che normalmente si vedrebbero in una romcom dove il gran finale è per l’appunto il prom, quel ballo di fine anno che ogni volta pare essere l’unico scopo dei cinque anni di liceo.
I riferimenti, però, a detta del produttore Olmo Schnabel, spaziano da Stand By Me a Badlands, gioventù in corsa a folle velocità verso un futuro che non si sa cosa possa riservare ma certo deve essere migliore di questo presente. Non ci sono molti dialoghi e tutta la psicologia dei personaggi è piuttosto lasciata ai loro gesti, piccoli ma sempre rivelatori, e che non cadono nei cliché dei liceali raccontati spesso grossolanamente, senza sfumature. Bobby, Adam e Caroline sono una gioventù senza tempo e senza luogo, costretti come spesso accade a far fronte a situazioni ben più grandi di loro.