“Gukoroku (Traces of Sin)” di Kei Ishikawa

Le tracce del peccato

Presentato nella sezione Orizzonti, Gukoroku (Traces of Sin) è l’opera prima del regista giapponese Kei Ishikawa, un thriller con elementi dell’horror psicologico che a partire da un caso di cronaca nera ricostruisce un quadro accurato della realtà giapponese contemporanea, mostrando l’idiosincrasia dell’autore per i suoi disvalori.

Il reporter Tanaka – Satoshi Tsumabuki –, ossessionato dal caso dell’omicidio dei Takou, una famiglia apparentemente perfetta, decide a un anno di distanza di ritornare sul caso: il lavoro sembra l’unica cosa in grado di distrarlo dalla difficile situazione in cui versa la sorella Mitsuko – Hikari Mitsushima –, incarcerata per aver quasi fatto morire d’inedia la figlia lattante. Dalle interviste di amici e colleghi del defunto Takou scopriremo l’inquietante connessione tra quest’ultimo e Tanaka, venendo a conoscenza di una verità in cui nessuno risulterà innocente.

Nonostante il film sia abbastanza lento a ingranare, il suo maggior pregio risiede nella capacità di fuorviare il fruitore per mezzo di una narrazione retrospettiva che sembrerebbe rimandare continuamente la soluzione del mistero. Senza formulare alcuna ipotesi, Tanaka si limita a un’indagine maieutica lasciando la parola ai suoi interlocutori, grazie ai cui flashback potremo constatare coi nostri occhi la meschinità di Takou, un arrampicatore sociale in sintonia con la gioventù snob e ipocrita della capitale.

Dato il numero di digressioni la struttura narrativa risulta sulle prime improntata a una tendenza centrifuga, ma l’epilogo e le confessioni di Mitsuko sveleranno al contrario, con l’ausilio di una regia allusiva, la tendenza centripeta delle singole reminiscenze. L’armonia dell’architettura della trama è infine ribadita dalla composizione circolare, con Tanaka che scende dal bus a inizio film e vi risale nel finale.

Se però da un lato questa costruzione articolata è tipica del genere, dall’altro non si può dire lo stesso della caustica critica sociale: non a caso Ishikawa ha definito il suo lungometraggio «Il Grande Gatsby del Giappone odierno». I giovani rampanti di Gukoroku parlano, ridono, vestono allo stesso modo e trascorrono le giornate tra alcolici e conversazioni futili, e lo sfarzo non manca di attirare l’interesse dei più insicuri che, come Mitsuko, ne saranno inevitabilmente risucchiati.

Al pari di Nick Carraway nel romanzo di Fitzgerald, Tanaka è un osservatore taciturno che con le sue interviste ci riporta agli eccessi passati di questa società di cui Takou, sulla falsariga di Gatsby, era il rappresentante ideale. Tuttavia, Takou non ha mai cercato di compiacere qualcun altro al di fuori di se stesso: proprio per questo la morte violenta di lui e dei suoi cari, presentataci come un’aberrazione immeritata, ci lascerà indifferenti, per non dire compiaciuti, una volta che avremo compreso i peccati compiuti in nome del suo ego.

Per chiudere, anche se è evidente che Ishikawa deve ancora definire la propria identità artistica, Gukoroku è un esordio valevole in grado di inquietare lo spettatore e di demolire la sua concezione di famiglia e amicizia, tanto che alla fine non saprà più distinguere le vittime dai carnefici di questo intreccio perverso.