Superpower di Sean Penn e Aaron Kaufman è un documentario è politico e non è neutrale.
È un’opera di artisti, non di storici, ed è chiaramente e apertamente schierato. Si sforza di esserlo ma non può: non è ammessa l’equidistanza quando c’è Davide che si scontra contro Golia.


Sean Penn filma i bombardamenti su Kiev nei primi giorni dell’invasione russa, intervista il Presidente Zelensky (“Mi ha mostrato la vera faccia del coraggio: di uno che poteva fuggire, ma non lo ha fatto”), evoca il noto caso sollevato alcuni anni prima dall’ex presidente USA Trump a proposito delle attività in Ucraina del figlio dell’allora candidato Biden.
Intervista diplomatici e politici degli Stati Uniti. Si vede che parla al mondo, ma innanzitutto alla sua nazione, gli USA, perché capiscano che quello che sta succedendo davvero in Ucraina non è affare locale, ma tocca tutti. Addirittura arriva a paragonare gli Ucraini ai Beatles, per la forza e la capacità di difendere la libertà per il mondo intero. Penn non parla direttamente con Putin, lo fa parlare attraverso qualche spezzone di suoi recenti discorsi con tutta la subdola propaganda che è impossibile non confrontare con la realtà: “Sto dalla parte di quelli che lottano per la libertà – dice Penn – E se mi si dice che anche io faccio propaganda perché mostro la verità sulla Ucraina, allora non molto felice essere definito un divulgatore di propaganda.”
Con questo documentario Penn vuole di dare un contributo a una causa nella quale lui stesso crede tenacemente, perché “Anche con un film a volte si riesce a fare qualcosa, magari non a fermare una guerra, ma a contribuire a costruire un mondo migliore.”

Così come si può fare con la musica: come ci mostra un altro bellissimo documentario molto ben schierato. Ma questa volta sappiamo chi ha perso e chi ha vinto. Si tratta di Kiss the Future di Nenad Cicin-Sain, che raccoglie le testimonianze di quei musicisti rock e militanti – che altrimenti non si potrebbero definire che nella Sarajevo dei primi anni 90 erano “underground” nel senso che durante i bombardamenti dei serbi di Milosevic nel 1992, anche a costo di esibirsi sottoterra, non hanno mai smesso di fare musica, e il loro pubblico è sempre arrivato, nella convinzione di trovare speranza e sollievo dagli incubi di un genocidio quotidiano.

Fu così che un giovanissimo giornalista di Sarajevo riuscì a far arrivare di volta in volta una testimonianza dalla sua città ad ogni concerto che quell’anno tennero gli U2 in giro per tutta Europa. La voce dei cittadini di Sarajevo arrivò ovunque. Poi, nel 1993, ci fu la pace, e allora gli U2 arrivarono finalmente lì, in una città distrutta ma non sconfitta: “Sarajevo: kiss the future!”, gridò Bono davanti a 45 mila persone che arrivavano da tutta la Bosnia liberata.
“Chi ci attacca odia anche il nostro modo di vivere, multietnico, libero e pacifico” dicevano a Sarajevo.


E mentre scorrono i titoli di coda del doc, si vedono le facce di molti politici (c’è anche Mario Draghi) e anche di Putin. Come non vedere la similitudine tra la tragedia di venti anni fa e quella di oggi?
E allora si spera che un giorno molto vicino si possa si finalmente dire: “Ucraina: Kiss the future!”

Presentati fuori concorso alla 73° Berlinale 2023, questi due documentari riflettono l’uno nell’altro le tragedie del nostro tempo.