Il canto della caduta, nuovo lavoro di Marta Cuscunà, ha inaugurato il 15 e 16 ottobre la stagione del Teatro Ca’ Foscari a Santa Marta. Inserendosi nella non facile riflessione La via maestra – ricomporre il presente, analizzare cioè la perdita di orientamento attuale, Il canto della caduta, “attraverso l’antico mito dei Fanes, vuole portare alla luce il racconto perduto di come eravamo, di quell’alternativa sociale auspicabile per il futuro dell’umanità che viene presentata sempre come un’utopia irrealizzabile”.
Il crollo del Mutterrecht
Il mito del regno dei Fanes, unica saga nata sul territorio italiano paragonabile al ciclo arturiano e nibelungico, era tramandato oralmente da secoli tra le popolazioni ladine quando Karl Felix Wolff gli diede forma scritta negli anni Trenta del Novecento. Fanes racconta di una ginecocrazia all’insegna della pace e della caccia. Dolasilla, futura regina, viene mandata a morte dal padre, comandante dell’esercito che tradisce il suo popolo per la brama di potere, quel “fauza rego” diventato pietra in cima al Falzarego. La guerra e il passaggio al patriarcato, nonché alla cultura della miniera, costringono i sopravvissuti a nascondersi nelle viscere del Morin di Salvans, secondo alcuni presso il Lago di Braies, in attesa che il “tempo promesso” dalle antenate matriarche ritorni annunciato dalle trombe d’argento.
Complicatissimo per intrecci e protagonisti, Fanes ci pone interrogativi scomodi. La guerra è parte incancellabile del destino dell’umanità? È possibile passare da un sistema di guerre incessanti e di ingiustizia sociale a un sistema mutuale e pacifico? Il dominio dell’uomo sulla donna è inevitabile?
Cuscunà scrive un testo difficile, ricco di suggestioni bibliografiche che spaziano da Giuliana Musso a Heinrich von Kleist, da Christa Wolf a Carol Gilligan, fino ai dossier sui danni mentali creati dalla guerra in bambini profughi e migranti. Alla base stanno le teorie di Riane Eisler e Marija Gimbutas, secondo le quali l’evoluzione culturale europea sarebbe stata letteralmente sconvolta con le migrazioni di popoli indoeuropei tra età del Ferro ed età del Bronzo. Se Dio era Dea e il matriarcato garantiva la stabilità politica e religiosa, l’arrivo dello straniero stravolse le certezze, imponendosi il sesso maschile su quello femminile.
Una resistenza femminile
Il progetto prosegue, per stessa dichiarazione dell’autrice, il discorso femminista iniziato con la Trilogia sulle resistenze femminili. Si parla di donne, ma non le vediamo perché quello che conta è la parola. Dolasilla, Lujanta, Moltina vivono attraverso il racconto che Cuscunà affida agli uccelli, a Udea e ad Aylan, i due bambini nascosti sotto teste di topo nell’abisso della montagna che diverranno pasto per i corvi, animali e umani. Anche la guerra non si vede, ma si percepisce nei frammenti di dialogo che scorrono sul monitor e nel live audio di Michele Braga, echi di qualcosa che siamo abituati a percepire come lontano, geograficamente e umanamente.
Il canto della caduta si lascia ricordare per la splendida macchina scenica creata da Paola Villani che reinterpreta il teatro di figura secondo i principi dell’animatronica. Stecche di ferro, modellate da Franco Righi, rievocano le cime delle Dolomiti, ai lati di un’impalcatura su tre livelli. In alto quattro corvi, riprodotti non con piume, ma con un puro assemblaggio di parti metalliche, manovrati attraverso dei joystick. Sono i sostituti della razza umana, il coro, coloro che traggono vantaggio dalla guerra, i commentatori del campo di battaglia, ciascuno con la propria individualità ricreata dalla voce dell’attrice. Al centro un monitor su cui scorrono i video di Andrea Pizzalis, e in basso un piccolo palco per Udea e Aylan, i due bambini-pupazzo superstiti, ispirati alla street art di Herakut. Si distinguono dagli uccelli per le loro forme morbide intagliate nel legno, in una riuscita antitesi tra meccanica-potere e legno- umanità. Cuscunà li anima simbioticamente, tra arti finti e veri. Senza le luci di Claudio “Poldo” Parrino questo viaggio verso l’oscurità e la penombra non sarebbe possibile.
Marta Cuscunà da voce con grande abilità e precisione ai sei personaggi, spostandosi tra il visibile e l’invisibile, la semplicità e la complessità, l’animato e l’inanimato, celebrando una liturgia ancestrale di morte e, forse, risurrezione.
Applausi entusiasti alla recita del 16 ottobre da parte del foltissimo pubblico.
Luca Benvenuti
Credits Daniele Borghello