Non si parla quasi mai di autori emergenti ed è un peccato perché, talvolta, negli angoli più nascosti delle librerie si possono scovare dei veri e propri gioiellini. È il caso de Il castello di sabbia (Edizioni Montag, 2019) di Giulia Girardi. L’autrice è una ragazza che condivide con me la città di provenienza, Venezia, e l’anno di nascita.
Classe ’92, Giulia cominciò a scrivere il suo primo romanzo nel 2016 e, dopo averlo concluso nel giro di qualche mese, partecipò ad un concorso letterario indetto dalla Casa Editrice Montag. Pur non risultando vincitrice, gli editori furono colpiti dal suo manoscritto e decisero di pubblicarlo a giugno 2019 nella collana Le Fenici.
Lo confesso: mi sono accostata guardinga al romanzo, che ricordo essere un’opera prima, e avrei immaginato di portarne a termine la lettura in un paio di mesi. Invece, sorpresa! L’ho terminato in pochi giorni, tanto mi ha coinvolta.
La Girardi scrive dannatamente bene, con una padronanza della lingua italiana e della tessitura della trama da far dimenticare al lettore di avere a che fare con un’opera emergente.
Le atmosfere cupe e misteriose della cittadina immaginaria di Torre Secca avvolgono il fruitore sin dalle pagine iniziali, quando si troverà già di fronte al primo di una lunga serie di delitti che sconvolgeranno i personaggi della vicenda.
Il castello di sabbia è un racconto corale, nel quale spiccano il dottore Saverio Del Giglio, vedovo della giovane Yvonne, e i suoi tre figli Brando, Amos e Tobia. Ciò che mi ha colpita maggiormente è l’analisi profonda e matura della psiche dei protagonisti e dei rapporti che intercorrono tra essi. Sarà facile per il lettore empatizzare con l’adolescente Amos, l’anima candida e pura del romanzo, e provare estrema tenerezza per il piccolo Tobia. Più ostico ma allo stesso tempo più affascinante risulterà, invece, il contatto con il dottor Del Giglio e il figlio maggiore Brando, inizialmente presentati come possibili villains della vicenda. Antieroi dalla personalità colma di contraddizioni e ambiguità, i due personaggi sopraccitati sono i veri dei ex machina della vicenda.
Con una cura meticolosa sono stati descritti i luoghi e le ambientazioni, in particolar modo il castello che si staglia sul mare, nel quale vive la famiglia Del Giglio che, come qualsiasi racconto gotico che si rispetti, possiede una torre nella quale è vietato entrare perché cela i più torbidi misteri…
Il punto di partenza della storia narrata è la morte di Anna, giovane tata del piccolo Tobia, che getterà una luce inquietante sulla famiglia Del Giglio. Numerose morti, apparentemente senza alcun collegamento, seguiranno quella della povera bambinaia. A indagare ci penserà il commissario di polizia Lea Costa con la sua squadra, i veri e propri eroi senza macchia e senza paura della vicenda.
È difficile definire il genere del romanzo, ma sicuramente si intravvedono influenze della più classica letteratura gotica, da Mary Shelley, alla quale Giulia si è dichiaratamente ispirata, a Edgar Allan Poe, passando per Howard Phillip Lovecraft. Non mancano suggestioni di stampo squisitamente cinematografico, da David Lynch (ricordate I segreti di Twin Peaks?) a David Cronenberg, passando per il recente film Ex Machina (Alex Garland, 2015).
Attenzione però: Il castello di sabbia non è solo un romanzo gotico o giallo, in quanto sarebbe riduttivo cercare di confinarlo entro una sola etichetta letteraria. La Girardi è ambiziosa e pone al lettore una serie di quesiti ai quali è difficile rispondere ma che incoraggiano sicuramente la riflessione: quanto può essere dannoso il progresso se perpetrato da individui con intenzioni malvagie? In che misura è determinante il ruolo della genetica nella personalità? Esiste il libero arbitrio? Cosa differenzia la macchina dall’essere umano?
Se cercate una lettura semplice, lineare, superficiale e leggera questa non fa certamente al caso vostro. Se invece siete alla ricerca di suggestioni e di riflessioni allora correte a comprarlo. Vi assicuro che i continui incroci di vicende, personaggi, misteri e segreti vi terranno gli occhi fissi sulla pagina.
Nel celebre film Midnight in Paris (Woody Allen, 2011) uno scrittore emergente chiede a Hemingway di leggere il suo manoscritto. Il maestro della letteratura afferma di odiarlo senza nemmeno averlo letto poiché «se è brutto lo odi[erà] perché [detesta] la brutta prosa, se è buono [ne sarà] invidioso e, [quindi], lo odi[erà] ancora di più». Ecco, stando a questo ragionamento dovrei certamente odiare il primo romanzo di Giulia Girardi. Non perché sia “brutto”, ma proprio perché è estremamente “buono”. Io non sono certamente Hemingway però posso affermare che, un po’, invidio il suo innegabile talento.