Dopo Lo and behold: reveries of the connected world, Herzog firma il suo secondo documentario di quest’anno con Into the inferno, avvalendosi dell’aiuto di Netflix, che ne ha garantito la distribuzione a partire dall’ottobre 2016.
Che Herzog sia un regista sempre alla ricerca della novità, del non detto, è risaputo, oltre che palese. I suoi documentari, alla ricerca della verità, contenuta secondo lui (come ribadisce nelle fasi iniziali dell’opera) in quella “natura estrema” che trascende l’uomo, lo hanno portato per l’appunto a realizzare documentari estremi in luoghi estremi. Proprio durante uno di questi, mentre era in Antartide per girare Encounters at the end of the world, incontra il vulcanologo Clive Oppenheimer, con il quale si è ritrovato quasi dieci anni dopo per girare questo Into the Inferno, un viaggio attraverso Etiopia, Indonesia e Corea del Nord alla ricerca dei vulcani attivi più pericolosi del globo, per raccontare essenzialmente come essi hanno influenzato lo sviluppo della popolazione della zona.
Herzog non può essere classificato come un documentarista informativo e, allo stesso modo, Into the inferno non è un banale documentario naturalistico. La forza dell’opera giace nell’approccio del regista bavarese all’oggetto del vulcano. Per Herzog il vulcano va affrontato, filmato con quanto più coraggio possibile, all’interno del proprio cratere, focalizzando l’occhio meccanico della mdp all’interno del magma. Il nostro si rivolge al vulcano come se fosse un essere vivente, la sua visione di esso è organicistica, quasi ci so trovasse dinanzi a un Dio silente che regna incontrastato, con potere di vita e morte sulle popolazioni che attorno ad esso si sono sviluppate.
Viene dedicato poco tempo, il minimo indispensabile, alle necessarie ovvietà che documentare il trittico di vulcani comporterebbe, come il pericolo o i dati storici o ancora il numero di vittime accertate. Come con Glocken aus der Tiefe (Rintocchi dal profondo) c’è più interesse per l’aspetto mitico, per le leggende che raccontano quanto la razza umana un tempo potesse essere vicina all’estinzione per via di un lungo periodo di intensa attività vulcanica. Nonostante vi siano poche prove certe di quest’ipotesi, all’interno del film ci si sofferma parecchio su quest’aspetto semi-favolistico, più per la fascinazione dello stesso regista che per intento documentaristico in se stesso. E’ sempre l’amore per l’ignoto, per il “deeper” (come più volte lo chiama il bavarese), per ciò che sul fondo (nel senso letterale del termine) delle cose, immobile, a spingere Herzog a girare questo film.
Un divertito e divertente Herzog ci trascina in questa avventura con entusiasmo, rivelando la propria persona più del solito durante questo tipo di film, e trascinandosi dietro, oltre allo spettatore, il “povero” Oppenheimer, totalmente in balia del regista che segue un po’ preoccupato e un po’ divertito. Allo stesso modo, durante le pause dalle sequenze più squisitamente documentaristiche il rapporto di stima reciproca tra i due si esplica in interessanti dialoghi sulla filosofia che si cela dietro un vulcano. Al di là dell’ingenuità che si rivela immediatamente dietro questi discorsi, non si può non notare un certo ritorno romantico nel modo di fare cinema di Herzog, ancora coinvolto, ancora desideroso di credere e di andare a filmare quella tanto agognata verità estatica.
Con una fotografia straordinaria e – come già accennato – un approccio registico visionario ed evocativo, entusiasta e, per l’appunto, romantico, Herzog ci racconta una parte di lui, come regista e uomo, a discapito del minutaggio di aspetti che magari potevano essere più rilevanti o interessanti per via della loro natura inedita. La tribù africana che adora come un profeta o una figura messianica John Frum (e il suo legame con il vulcano per via dell’altezza), aviatore americano che un giorno secondo costoro ritornerà per portare loro beni di consumo, ad esempio, o la situazione della montagna nordcoreana e dei suoi abitanti, sono certo questioni degne di essere approfondite, ma a Herzog interessa fino a un certo punto: il suo è un documentario sui vulcani e soprattutto è suo.
In conclusione, Into the inferno è un documentario che, a conti fatti, è in tutto e per tutto inferiore a Lo and behol; è più un must per quanti apprezzano il regista, vista la dimensione intimistica nella quale si colloca il film. Appunto, l’aspetto incredibilmente personale dell’opera la mette su un piano diverso dal documentario classico, di scopo informativo, ma d’altro canto è anche vero che con il documentario classico Herzog ha sempre avuto poco a che fare.
Titolo originale: Into the Inferno
Nazione: USA
Anno: 2016
Genere: Documentario
Durata: 99′
Regia: Werner HerzogCast: Werner Herzog, Clive Oppenheimer
Data di uscita: 2016 (Netflix)